LA
PROCEDURA FALLIMENTARE NEL MIRINO DELLA
CORTE DI STRASBURGO
di Claudio Rondelli*
1.
La ragionevole durata delle procedure e la legge Pinto
L’eccessiva
durata delle procedure rappresenta da sempre una piaga della Giustizia italiana.
In passato, la Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo ha
sistematicamente condannato l’Italia per la violazione dell’Articolo 6 § 1
della Convenzione europea per la salvaguardia dei diritti dell’uomo e delle
libertà fondamentali (di seguito: Cedu) nella parte in cui garantisce il
diritto ad una ragionevole durata delle procedure.
Con
l’entrata in vigore della legge n. 89 del 21 marzo 2001, meglio nota come
legge Pinto, che prevede la facoltà di instaurare a livello nazionale una
procedura volta ad ottenere un’equa riparazione per danni patrimoniali o non
patrimoniali derivanti dall’eccessiva durata delle procedure, molti ricorsi
introdotti innanzi la Corte di Strasburgo aventi ad oggetto tale doglianza sono
stati dichiarati irricevibili per non esaurimento delle vie di ricorso interne
ai sensi dell’Articolo 35 § 1 della Cedu. Nei casi Brusco c. Italia[1] e Giacometti c. Italia [2],
la Corte ha infatti concluso che il sistema introdotto dalla legge Pinto è
accessibile ed efficace e che, quindi, deve essere esperito al fine di esaurire
le vie di ricorso interne. Essa inoltre, ritenendo giustificata un’eccezione
al principio generale secondo il quale la condizione dell’esaurimento delle
vie di ricorso interne deve essere valutata al momento dell’introduzione del
ricorso, ha affermato l’applicabilità del nuovo sistema introdotto dal
legislatore nazionale anche ai i ricorsi già pendenti innanzi la Corte, ma non
ancora dichiarati ricevibili, al momento dell’entrata in vigore della nuova
legge.
In
questo contesto e finché la Corte riterrà il sistema introdotto dalla legge
Pinto accessibile ed efficace e quindi da esperire, per far valere innanzi la
Corte di Strasburgo la violazione del «termine ragionevole», sarà prima
necessario presentare il ricorso ad hoc
previsto dal legislatore nazionale.
Tuttavia
ciò non significa che il problema delle lungaggini processuali non possa
assumere rilevanza anche al di fuori della portata della legge Pinto, laddove la
Corte sia chiamata a pronunciarsi sulle ripercussioni che la violazione del «termine
ragionevole» può avere su altri diritti garantiti dalla Convenzione.
Questo
è, in sostanza, quanto è accaduto in una serie di ricorsi presentati contro
l’Italia e dichiarati in gran parte ricevibili dalla Corte, con i quali, oltre
ed a causa dell’eccessiva durata delle procedure fallimentari, si denunciava
la violazione di altri diritti garantiti dalla Cedu che, secondo quanto previsto
dalla legislazione interna, subiscono forti limitazioni a seguito della
dichiarazione di fallimento.
2.
Gli effetti del fallimento rispetto al debitore: le incapacità personali
del fallito
Il
Regio Decreto n. 267 del 16 marzo 1942 (di seguito: l.fall.) ed il codice civile
prevedono numerose e gravi limitazioni di carattere economico e personale a
carico del fallito.
Ai
sensi dell’art. 42 l.fall., la stessa sentenza dichiarativa di fallimento
priva il fallito dell’amministrazione e della disponibilità dei suoi beni
esistenti al momento della sua emissione.
L’art.
43 l.fall. dispone inoltre che nelle controversie, anche in corso, relative a
rapporti di diritto patrimoniale del fallito compresi nel fallimento sta in
giudizio il curatore. In altre parole, il fallito viene privato della
legittimazione processuale nei rapporti sui quali si esercita
l’amministrazione fallimentare. Il fallito può intervenire in giudizio solo
per le questioni dalle quali può derivare un’imputazione di bancarotta a suo
carico e nei casi in cui il suo intervento è previsto dalla legge. Conserva
invece piena capacità processuale per tutti gli altri rapporti ed, in
particolare, per quelli relativi ad attività svolte dopo il fallimento senza
l’impiego del suo patrimonio e per le azioni che può esercitare per far
valere diritti propri nell’ambito della procedura fallimentare.
La
corrispondenza indirizzata al fallito deve essere consegnata al curatore, che ha
il diritto di trattenere quella di interesse patrimoniale, che potrà essere
visionata dal fallito ed il dovere di mantenere il segreto sul contenuto di
quella estranea ad interessi patrimoniali (art. 48 l.fall.). Il fallito,
inoltre, non può allontanarsi dal luogo di residenza senza il permesso del
giudice delegato (art. 49 l.fall.).
Presso
la cancelleria di ciascun tribunale è tenuto un pubblico registro in cui sono
iscritti i nomi di coloro che sono stati dichiarati falliti dallo stesso
tribunale; fino alla cancellazione del loro nome da questo registro, per la
quale è necessaria una sentenza del tribunale, gli iscritti sono sottoposti
alle incapacità previste dalla legge (art. 50 l.fall.).
Le
incapacità personali a carico del fallito stabilite dal codice civile non sono
certo meno gravi rispetto a quelle della legge fallimentare. Innanzitutto, gli
articoli 350 e 393 prevedono l’incapacità di ricoprire la funzione di tutore
o curatore; il fallito, inoltre, non può essere nominato amministratore di una
società (art. 2382 cod. civ.), membro di un collegio sindacale (art. 2399 cod.
civ.) o rappresentante comune di obbligazionisti (art. 2417 cod. civ.). Al
fallito è inoltre vietato esercitare professioni liberali: non può, ad
esempio, essere iscritto all’albo degli avvocati, a quello dei ragionieri e
periti commerciali.
Infine,
il D.P.R. n. 223 del 20 marzo 1967, modificato dalla legge n.15 del 16 gennaio
1992, prevede la sospensione dell’esercizio dei diritti elettorali attivi e
passivi del fallito durante tutta la durata della procedura di fallimento e, in
tutti i casi, per un periodo non superiore a cinque anni dalla data della
dichiarazione di fallimento.
3.
Le norme della Cedu
Sono
varie le norme della Cedu che garantiscono diritti il cui esercizio e godimento
viene turbato per effetto della dichiarazione di fallimento e la cui violazione
è stata più volte invocata in stretta connessione con la eccessiva durata
delle procedure fallimentari.
L’art.
6 § 1 della Cedu, oltre diritto alla durata ragionevole delle procedure,
garantisce, secondo una consolidata giurisprudenza della Corte, il «diritto di
accesso ad un tribunale», vale a dire il diritto a che a livello nazionale
esista un’autorità competente ad esaminare ogni controversia inerente diritti
ed obblighi di carattere civile [3].
L’art.
8 della Cedu tutela il diritto di ogni persona al rispetto della propria vita
privata e familiare, del domicilio e soprattutto, per quanto è qui di
interesse, della propria corrispondenza. La norma vieta qualsiasi ingerenza
nell’esercizio di tale diritto che non sia prevista dalla legge e che non
costituisca una misura posta a tutela dell’interesse generale.
Strettamente
legato, nell’ambito della nostra analisi, al diritto al rispetto della
corrispondenza è l’articolo 13 della Cedu, che sancisce il diritto di ogni
persona i cui diritti e libertà riconosciuti dalla Convenzione siano stati
violati ad un ricorso effettivo innanzi le giurisdizioni nazionali.
Altre
norme di rilievo sono gli articoli 1 e 3 del Protocollo Addizionale alla Cedu,
sottoscritto a Parigi il 20 marzo 1952. In particolare, l’art. 1 riconosce il
diritto di proprietà e tutela il singolo rispetto ad arbitrarie privazioni di
tale diritto, stabilendo che esse possono essere attuate solo per causa di
pubblica utilità, secondo quanto previsto dalla legge e dai principi di diritto
internazionale. La norma riconosce d’altra parte agli Stati il diritto di
disciplinare con legge l’uso dei beni, ma sempre in modo conforme
all’interesse generale. L’art. 3, invece, impone agli Stati l’obbligo di
organizzare libere elezioni in modo da assicurare la libera espressione del
popolo sulla scelta del corpo legislativo. Tale norma, nella sua ampia
formulazione garantisce, quindi, anche il diritto del singolo all’elettorato
attivo e passivo.
Infine,
a completamento dell’insieme di norme rilevanti per la nostra analisi, occorre
ricordare che l’art. 2 del Protocollo n. 4 alla Cedu garantisce il diritto di
circolare liberamente sul territorio di uno Stato e di fissarvi liberamente la
residenza. Anche in questo caso, la norma riconosce agli Stati il diritto di
porre delle restrizioni all’esercizio di questi diritti; tali restrizioni
dovranno però, anche in questo caso, essere previste dalla legge e poste a
tutela dell’interesse generale.
4.
Le decisioni della Corte di Strasburgo
Come
già anticipato, la Corte ha dichiarato ricevibili una serie di ricorsi nella
parte in cui, accanto ed a causa dell’eccessiva durata delle procedure
fallimentari, i ricorrenti denunciavano la violazione di altri diritti garantiti
dalla Cedu. In particolare, come vedremo, la Corte ha dichiarato ricevibili le
doglianze relative alla denunciata incapacità del fallito di stare in giudizio
(art. 6 Cedu), al diritto al rispetto della corrispondenza ed all’assenza di
un ricorso per la sua tutela a livello nazionale (artt. 8 e 13 Cedu), al diritto
di proprietà (art. 1 Prot. Addizionale) ed alla libertà di circolazione (art.
2 Prot. n. 4). In questi casi, la Corte ha ritenuto che le doglianze non fossero
manifestamente infondate e che meritassero un approfondito esame sul merito.
Solo in due casi, Peroni c. Italia [4] e Bassani c. Italia [5],
sono state dichiarate ricevibili le doglianze relative all’eccessiva durata
della procedura, in quanto le rispettive decisioni furono pronunciate
anteriormente all’entrata in vigore della legge Pinto. In tutti gli altri
casi, invece, le decisioni sono state pronunciate successivamente e, di
conseguenza, tale doglianza è stata dichiarata irricevibile per non esaurimento
delle vie di ricorso interne.
Il
mancato rispetto del termine dei sei mesi per l’introduzione dei ricorsi
innanzi la Corte previsto dall’art. 35 della Cedu, è stato invece il motivo
di irricevibilità delle doglianze sollevate in relazione all’art. 3 del
Protocollo Addizionale alla Cedu. Nei casi Luordo c. Italia[6]
e Bottaro c. Italia[7], si denunciava, tra
l’altro, il fatto che il diritto dei ricorrenti all’elettorato attivo e
passivo fosse stato sospeso lungo tutto il corso delle procedure fallimentari,
durate rispettivamente più di venti e dieci anni. Ebbene, secondo una
consolidata giurisprudenza della Corte, se l’asserita violazione del diritto
si consuma nell’ambito di una situazione perdurante nel tempo, il termine di
sei mesi dalla data della decisione interna definiva entro il quale deve essere
introdotto il ricorso, decorre a partire dal momento in cui tale situazione è
terminata [8].
Nei casi in esame, la Corte ha innanzitutto osservato che, per espressa
disposizione di legge, la sospensione dei diritti elettorali non può eccedere i
cinque anni dalla data della dichiarazione di fallimento ed ha concluso che le
doglianze si dovevano considerare tardive e quindi irricevibili, nella misura in
cui erano state introdotte oltre il termine di sei mesi dal giorno in cui la
sospensione del loro diritto sarebbe dovuta cessare, vale a dire dal giorno in
cui era scaduto il periodo quinquennale di legittima sospensione del diritto di
voto.
Con
le summenzionate decisioni sui casi Luordo [9]
e Bottaro [10], la Corte si è inoltre
pronunciata sulla questione relativa alle incapacità personali del fallito. I
ricorrenti si lamentavano, tra l’altro, dell’incapacità di svolgere, in
pendenza delle rispettive procedure fallimentari, le funzioni di tutore e di
curatore, quelle di carattere elettivo in seno agli organi amministrativi e di
controllo delle società e dell’incapacità di esercitare professioni
liberali. Ebbene, la Corte ha ritenuto che queste incapacità non corrispondono,
in quanto tali, ad alcun diritto garantito dalla Convenzione ed ha rigettato le
doglianze in quanto incompatibili ratione
materiae con le disposizioni della Cedu.
Sempre
restando nell’ambito delle incapacità personali del fallito, è interessante
notare che nel caso Luordo [11]
la Corte è giunta ad una diversa conclusione per quanto riguarda la questione
sull’incapacità di stare in giudizio. Essa ha innanzitutto osservato che tale
incapacità è limitata alle controversie che riguardano i rapporti patrimoniali
relativi al fallimento e che, in questi casi, solo il curatore è legittimato a
stare in giudizio con l’autorizzazione del giudice delegato e sotto il suo
controllo diretto. La Corte ha quindi dichiarato la ricevibilità di questa
parte del ricorso, ritenendo che siffatta doglianza, al contrario delle altre,
non sia incompatibile ratione materiae
con le disposizioni della Cedu e che l’incapacità in questione debba con
tutta evidenza considerarsi una limitazione del diritto d’accesso ad un
tribunale da esaminare nell’ambito dell’articolo 6 § 1 della Cedu.
Sempre
nei casi Luordo [12]
e Bottaro [13] e, successivamente, nei
casi Parisi c. Italia [14]
e S.C., V.P., F.C., M.C. ed E.C. c. Italia [15]
la Corte ha dichiarato ricevibili le doglianze con le quali si denunciava la
violazione dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Cedu. I ricorrenti
lamentavano il fatto che, per effetto della sentenza dichiarativa di fallimento,
il fallito viene privato dei propri beni e che l’eccessiva durata delle
procedure fallimentari avrebbe reso tale privazione un’interferenza indebita
nel godimento del diritto di proprietà. Il Governo ha replicato che la
procedura fallimentare è prevista dalla legge e persegue un fine legittimo,
vale a dire la garanzia per i creditori di un soddisfacimento, anche parziale,
dei loro crediti nei confronti del fallito. Per questi motivi, la misura della
privazione dei beni non comporterebbe alcuna violazione del diritto di proprietà
garantito dall’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Convenzione. La Corte,
in questi casi, ha ritenuto la questione posta dai ricorrenti non manifestamente
infondata e meritevole di un approfondito esame sul merito, dichiarandone,
quindi, la ricevibilità.
Già
in passato la Corte era stata chiamata a pronunciarsi sugli effetti della durata
di procedure interne sul diritto di proprietà. Nei casi Saggio c. Italia [16]
e F.L. c. Italia [17],
i creditori di due società poste rispettivamente in amministrazione
straordinaria e liquidazione coatta amministrativa, lamentavano il fatto che
l’eccessiva durata delle procedure avrebbe causato un ritardo nel
soddisfacimento dei crediti di cui erano titolari tale da violare il disposto
dell’art. 1 del Protocollo Addizionale alla Cedu. La Corte, in entrambi i
casi, però, ritenne che i ritardi in questione fossero da attribuire
principalmente non alla durata delle procedure, bensì alla mancanza di risorse
finanziarie delle società debitrici ed alle difficoltà nel recuperare i loro
crediti e definì il caso con una pronuncia di non violazione.
La
pronuncia sul caso Parisi [18]
è di notevole interesse in quanto con essa è stata dichiarata ricevibile anche
una doglianza sollevata invocando l’art. 13 della Cedu. Il ricorrente
denunciava il fatto che l’assenza o l’omissione di decisioni da parte degli organi competenti volte alla
chiusura della procedura dovesse essere considerata alla stregua di un vero e
proprio diniego a procedere alla sua chiusura e che non esiste a livello
nazionale alcun ricorso esperibile per contrastare tale condotta da parte delle
autorità. La Corte ha ritenuto che questa doglianza dovesse considerarsi
strettamente legata a quella relativa all’asserita violazione del diritto di
proprietà e che, di conseguenza, dovesse anch’essa essere dichiarata
ricevibile.
Con
le decisioni sui casi Luordo [19]
e Bottaro [20] la Corte ha dichiarato
ricevibili anche le doglianze sollevate in relazione agli articoli 8 della Cedu
e 2 del Protocollo n. 4 [21].
Quanto
all’art. 8 della Cedu, i ricorrenti lamentavano la violazione dei diritto ivi
garantito a causa dell’eccessiva durata delle procedure fallimentari. Secondo
il Governo, la restrizione del diritto al rispetto della propria corrispondenza
ha come scopo la realizzazione del giusto equilibrio tra l’interesse pubblico
e quello del fallito e trova il suo fondamento giuridico nell’eccezione
introdotta dal secondo paragrafo dell’art 8 della Cedu, laddove consente la
limitazione del diritto garantito al primo paragrafo con misure necessarie, tra
gli altri, allo scopo di proteggere i diritti altrui, costituito, in questo
caso, dal diritto dei creditori di ottenere il pagamento dei loro crediti.
In
passato, l’allora Commissione Europea dei Diritti dell’Uomo, le cui funzioni
sono state assorbite nel 1998 dalla nuova Corte, aveva avuto occasione di
pronunciarsi sulla questione relativa alle possibili ripercussioni della durata
delle procedure fallimentari sul diritto al rispetto della corrispondenza e
sulla libertà di circolazione. Infatti, nel caso Ceteroni e Magri c. Italia [22],
la Commissione aveva inizialmente rigettato le eccezioni formulate dal Governo e
dichiarato il ricorso ricevibile, ritenendo che gli strumenti a disposizione del
fallito previsti dalla legge fallimentare non fossero idonei a predisporre una
efficace tutela dei diritti in questione. La questione non ha purtroppo avuto
seguito, in quanto, con la successiva sentenza, la Corte ha dichiarato la sola
violazione dell’art. 6 in relazione all’eccessiva durata delle procedure,
ritenendo di non doversi pronunciare sul merito delle questioni connesse
all’art. 8 della Cedu e dell’art. 2 del Protocollo n. 4.
Rimanendo
in tema di diritto al rispetto della corrispondenza, bisogna invece attendere
fino alla decisione sul caso Bottaro [23]
per una pronuncia di ricevibilità della doglianza con la quale, come nel caso
Parisi [24],
si denunciava la violazione dell’art. 13 della Cedu. In questo caso, però
tale norma veniva invocata dal ricorrente per l’asserita mancanza di un
ricorso effettivo a livello nazionale volto a far valere la violazione al
diritto al rispetto della corrispondenza. Il ricorrente sosteneva che il ricorso
previsto all’art. 36 l.fall. non costituisce un rimedio effettivo né contro
la violazione di questo diritto né contro l’eccessiva durata della procedura.
Quest’ultima parte della doglianza è stata dichiarata irricevibile a seguito
dell’entrata in vigore della legge Pinto.
Quanto
invece alla tutela del diritto al rispetto della corrispondenza, la Corte ha
osservato che l’art. 26 l.fall., invocato dal Governo a sostegno della non
violazione, prevede la possibilità
anche per il fallito di impugnare i provvedimenti del Giudice Delegato, ma non
può certo considerarsi un ricorso efficace contro la limitazione del diritto in
questione, conseguenza diretta della sentenza dichiarativa di fallimento e non
di un provvedimento del Giudice Delegato. Altrettanto vale per il disposto
dell’art. 36 l.fall., che prevede la possibilità di adire il Giudice Delegato
per impugnare i provvedimenti del curatore. La Corte, richiamandosi alla
summenzionata decisione della Commissione sul caso Ceteroni e Magri c. Italia [25],
ha osservato che questo ricorso riguarda esclusivamente le attività compiute
dal curatore nell’amministrazione del patrimonio del fallito e, per sua
natura, non costituisce quindi un rimedio contro la violazione del diritto in
questione.
Alla
luce di queste considerazioni, la Corte ha ritenuto che la questione non fosse
manifestamente infondata e meritasse un esame approfondito.
5.
Conclusioni
Le
numerose decisioni di ricevibilità pronunciate dalla Corte prospettano una
stagione ricca di novità giurisprudenziali nella materia all’esame. La Corte,
infatti, con le prossime sentenze sui casi oggetto della nostra analisi, si dovrà
pronunciare sulla delicata questione dell’impatto che può avere avuto la
durata delle procedure fallimentari sui diritti invocati dai ricorrenti e
garantiti dalla Convenzione.
Le
conclusioni a cui giungerà la Corte saranno in ogni caso di notevole rilievo.
Particolarmente interessante si prospetta l’ipotesi in cui la Corte ritenga
che la durata delle procedure nei casi in esame sia stata effettivamente di
gravità tale da comportare la lesione dei diritti in questione e pronunci
quindi la violazione delle rispettive norme della Convenzione ed il conseguente
riconoscimento di un’equa soddisfazione. Una pronuncia in tal senso sarebbe di
non poco conto se si considera che, in tal caso, una voce di danno direttamente
derivante dall’eccessiva durata delle procedure verrebbe riconosciuta dalla
Corte senza la necessità del previo esperimento del ricorso previsto dalla
legge Pinto.
Merita
menzione il fatto che le Corti d’Appello, adite ai sensi della legge Pinto,
non si sono dimostrate insensibili alle problematiche che abbiamo affrontato.
Non sono mancate infatti pronunce che hanno ravvisato l’esistenza di un danno
di carattere extrapatrimoniale derivante dell’eccessiva durata delle procedure
fallimentari in relazione agli effetti personali conseguenti alla dichiarazione
di fallimento[26].
* Avvocato, attualmente svolge la funzione di giurista temporaneo presso la Cancelleria della Corte europea dei diritti dell’uomo di Strasburgo. Le opinioni espresse sono personali e impegnano solo l’autore.
[1] Caso Brusco c. Italia del 6 settembre 2001, CEDH 2001-IX.
[2] Caso Giacometti c. Italia del 8 novembre 2001, CEDH 2001-XII.
[3] Caso Golder c. G.B. del 21 febbraio 1975, Serie A-18, § 35.
[4] Caso Peroni c. Italia del 29 giugno 2000, ricorso n. 44521/98.
[5] Caso Bassani c. italia del 4 luglio 2000, ricorso n. 47778/99.
[6] Caso Luordo c. Italia del 23 maggio 2001, ricorso n. 32190/96.
[7] Caso Bottaro c. Italia del 23 maggio 2002, ricorso n. 56298/00.
[8] Caso Agrotexim Hellas S.a., Biotex S.a., Hymofix S.a., Kykladiki S.a., Mepex S.a. e Texema S.a. c. Grecia del 12 febbraio 1992, D.R. 72, pp. 148, 167 e caso J.M. c. Portogallo del 19 gennaio 1989, D.R. 59, pp. 85, 90.
[9] cit.
[10] cit.
[11] cit.
[12] cit.
[13] cit.
[14] Caso Parisi c. Italia del 27 giugno 2002, ricorso n. 39884/98.
[15] Caso S.C., V.P., F.C., M.C. ed E.C. c. Italia del 2 luglio 2002, ricorso n. 52985/99.
[16] Caso Saggio c. Italia del 25 ottobre 2001 (sent.), ricorso n. 418797/98.
[17] Caso F.L. c. Italia del 20 dicembre 2001 (sent.), ricorso n. 25639/94.
[18] cit.
[19] cit.
[20] cit.
[22] Caso Ceteroni e Magri c. Italia del 17 ottobre 1994 (dec.), ricorsi nn. 22461/93 e 22465/93; caso Ceteroni e Magri c. Italia del 15 novembre 1996 (sent.), Raccolta 1996-V.
[23] cit.
[24] cit.
[25] cit.
[26] Cfr. Corte d’Appello di Torino, decr. 31 luglio 2001, in Guida al Diritto, n. 43/2001, 63.