GIOVANNI
BERTI ARNOALDI VELI
Prassi e giurisprudenza del Tribunale di Bologna
nelle espropriazioni immobiliari;
in particolare, il custode giudiziario e le azioni del legale
della custodia finalizzate alla liberazione del compendio[1]
. . .
Sommario:
1.1.
Cenni sulla nascita del “progetto Vito Resta” - 1.2. Esposizione sommaria della prassi - 2. Lo stimatore-custode - 3.
La nomina del legale del custode - 4.1.
L’occupazione del compendio da parte del debitore esecutato; il diniego della
autorizzazione alla occupazione - 4.2.
L’occupazione del compendio da parte di terzi muniti di titolo opponibile; le
azioni del legale del custode - 4.3.
L’occupazione del compendio da parte di terzi privi di titolo
opponibile; le azioni del legale del custode.
1.1 Cenni sulla nascita del
“progetto Vito Resta”.
Il progetto
elaborato nel foro bolognese, e la relativa prassi operativa applicata sin dal
1996, ha visto uniti magistratura ed avvocatura nella comune ricerca di
strumenti in grado di restituire incisività ed efficacia ad una normativa -
quella dettata dal codice per le espropriazioni immobiliari - che si era ormai
da tempo rivelata inadeguata a garantire l’effettivo esercizio della
giurisdizione del processo esecutivo, frustrata dai tempi lunghissimi e dalla
macchinosità della procedura. Si era in periodo in cui il legislatore ancora
doveva mettere mano alla materia, cosa che peraltro avrebbe poi fatto, con la
legge n. 302 del 1998, non dettando
una rinnovata disciplina organica ma limitandosi a ritenere di potere risolvere
ogni problema semplicemente delegando a soggetti esterni alla giurisdizione - i
notai - le operazioni di vendita, con una operazione di outsourcing della giurisdizione che è di certo coerente con i
correnti principî di gestione delle imprese, ma che desta perplessità nella
misura in cui si propone di risolvere i gravi problemi di effettività ed
efficacia del processo espropriativo immobiliare con una delega indiscriminata a
soggetti terzi, dimenticando il principio cardine dettato dall’art. 484 c.p.c.
secondo il quale “l’espropriazione
forzata è diretta da un giudice”.
In
ogni caso, la sperimentazione bolognese partì quando la delega ai notai era
ancora lungi dall’essere prevista dalla legge n. 302 del 1998, e faceva i
conti con una procedura sistematicamente afflitta da lungaggini ed intoppi
dovuti a continue diserzioni d’asta, aumenti di sesto, incertezze sulla libera
disponibilità dei beni in vendita: elementi tutti che avevano creato nel
pubblico degli acquirenti una forte sfiducia nel mercato delle vendite coattive,
e nei protagonisti del processo esecutivo la ricorrente sensazione di trovarsi
interpreti di un inutile teatrino.
L’idea
comune che ha animato la sperimentazione e la prassi del Tribunale di Bologna è
stata allora quella di ritenere di potere egualmente attuare una riforma delle
esecuzioni immobiliari partendo da opzioni procedurali diverse da quelle
tradizionalmente adottate, comunque nel rispetto dell’impalcatura processuale
corrente, senza ricorrere alla delega indiscriminata ai notai dell’intera
procedura ma solamente limitandosi a richiedere agli stessi assistenza in quelle
attività più propriamente amministrative che giurisdizionali, quali ad esempio
l’acquisizione e la certificazione della documentazione ipocatastale, la
determinazione dell’INVIM e la tassazione della vendita, la redazione del
decreto di trasferimento, la trascrizione dello stesso e l’annotazione delle
conseguenti cancellazioni[2].
La
prima e più importante scelta di metodo fondante della prassi operativa
introdotta a Bologna è stata quella di accantonare il sistema della
tradizionale vendita con incanto e recuperare la procedura di vendita senza
incanto, negletta nella pratica sebbene strumento processuale previsto al pari
della vendita con incanto[3].
Accanto a tale scelta, rivelatasi fortunata e vincente ed oggi sposata dai
numerosi altri Tribunali che hanno importato la prassi bolognese, a loro volta -
chi più chi meno - introducendo elementi di novità e caratterizzazioni locali,
sono stati introdotti un processo di informatizzazione che accompagna e
caratterizza il nuovo metodo, e la creazione di una nuova figura professionale
di riferimento - il custode - la cui professionalità non è stata semplicemente
mutuata da quella di altri professionisti già esistenti su piazza (quali ad
esempio i curatori fallimentari o i C.T.U.), ma appositamente formata con corsi
mirati. Il tutto, va detto, si è potuto realizzare in presenza di precise
situazioni strutturali e di organico e grazie all’impegno di tutti gli
operatori coinvolti nel processo, fattori che hanno contribuito in misura
ugualmente decisiva ai fini del concreto ed effettivo funzionamento della nuova
prassi.
Innanzitutto,
la nuova prassi è nata grazie al lavoro ed all’impegno dei magistrati della
locale IV sezione del Tribunale, all’epoca della prima redazione del progetto
coordinati dal presidente dott. Vito Resta. Il dott. Resta per primo aveva
intravisto le potenzialità della gestione informatizzata delle procedure
esecutive riveduta con le scelte opzionali consentite dal codice, ed è a lui,
improvvisamente scomparso agli albori della sperimentazione, che si è voluto
intitolare il progetto[4].
Prima
dell’avvio del progetto, i dati statistici di partenza parlavano di una
lunghezza complessiva del processo esecutivo, a Bologna, di 1870 giorni (62
mesi, oltre cinque anni), che salivano a 2425 giorni (80 mesi, oltre sei anni e
mezzo) se la vendita con incanto subiva una sola diserzione d’asta, con
necessità di rifissazione dell’udienza di vendita. Era in realtà circostanza
tanto frequente da essere divenuta norma e non eccezione che le aste, e non solo
la prima, venissero disertate, rendendo così le procedure ancora più lunghe di
quanto già i numeri che abbiamo riportato non dicano. Per esempio, a Bologna
nel 1995 erano state emesse 211 ordinanze di vendita: di queste, solamente 133
avevano dato vita ad esperimenti di vendita (le rimanenti non avevano avuto
seguito per inattività o rinuncia), che erano andati deserti 98 volte, cioè in
una percentuale pari al 73,68% dei casi. Va poi precisato che le esecuzioni che
erano state prese in esame a questi fini statistici non avevano dato vita al
loro interno a giudizi di divisione incidentale, che - come noto - sono
suscettibili di allungare anche di decenni il processo esecutivo (al 4 ottobre
1996 ne erano stati rilevati pendenti innanzi al Tribunale di Bologna 281, dei
quali uno dal 1978, uno dal 1975 ed un altro addirittura sin dal 1965).
Lo
studio condotto sui tempi e le modalità della tradizionale vendita coattiva con
incanto aveva inoltre evidenziato, nell’esperienza bolognese (ma crediamo che
il dato possa pacificamente essere riferito anche alla realtà degli altri
Tribunali), che l’immobile pignorato aveva un collocamento sul mercato solo
episodico, con sfasatura temporale anche di rilievo fra il momento della stima e
quello della vendita. In particolare, era risultato che nella dimensione
temporale del processo, su un campione esaminato di 100 esecuzioni, l’immobile
aveva avuto un’esposizione sul mercato pari mediamente al solo 20% (con punte
significativamente più basse) della durata complessiva dell’esecuzione.
Pressocchè nulla l’incidenza delle assegnazioni: ne erano state registrate
solamente tre nell’ultimo decennio, e nessuna amministrazione giudiziaria.
Con
la prassi introdotta a Bologna, non solo le vendite sono aumentate e si sono
fatte più snelle, veloci e redditizie, ma anche la procedura è divenuta meno
costosa, sebbene il nuovo sistema preveda molti più lanci di pubblicità
rispetto a quanto tradizionalmente previsto nelle vendite con incanto; ciò
nonostante, il costo della pubblicità commerciale è diminuito in misura pari
mediamente al 65% dell’onere solitamente sostenuto nella vendita con incanto,
e ciò in virtù delle convenzioni stipulate con periodici, specializzati e non[5].
1.2. Esposizione sommaria della
prassi.
Il
progetto attuato nel foro bolognese prevede da un lato una
“reinterpretazione” della vigente normativa in chiave di maggiore efficienza
ed incisività della procedura, nell’ottica di recupero della effettività
della tutela esecutiva e di accelerazione dei tempi relativi; dall’altro
l’individuazione di alcuni obiettivi de jure condendo, la cui positiva realizzazione nel quadro della
auspicata riforma del processo esecutivo potrebbe contribuire a restituire
credibilità allo strumento processuale in questione.
La
disamina del progetto è quindi stata affrontata proprio su questi due diversi
piani, l’uno che consente, e di fatto sta consentendo, un immediato intervento
e l’altro, più a lunga scadenza, che potrebbe portare ad una definitiva e
nuova visione della esecuzione immobiliare, anche nella sua elaborazione
normativa. Questa seconda prospettiva ha di recente subito un'importante
accelerazione, con il disegno sulle "modifiche urgenti al processo
civile" approvato dal Consiglio dei Ministri il 21 dicembre 2001,
nell'ambito del quale - nella parte dedicata al processo esecutivo immobiliare -
vengono proposti alcuni interventi di innovazione normativa che si ispirano
dichiaratamente alla prassi di Bologna e di altri Tribunali[6].
Il
progetto bolognese ha mosso da alcune fondamentali considerazioni:
–
la necessità di provocare una maggiore partecipazione del debitore, se
del caso adeguatamente compulsata con idonee sanzioni;
–
la necessità di ampliare il patrimonio di conoscenze relative
all’immobile oggetto di esecuzione per poterne dar conto ai potenziali
acquirenti, con il ricorso a maggiori e diverse fonti informative;
–
l’eliminazione di indesiderati tempi morti tramite l’utilizzazione
anche dell’informatica quale importantissima risorsa conoscitiva; il
superamento dell’attuale sistema di pubblicità legale burocratica;
l’introduzione di un diverso e nuovo controllo di gestione della procedura; la
modificazione della complessa organizzazione del processo esecutivo immobiliare
anche tendendo alla individuazione e formazione di figure professionali di alto
livello da inquadrare quali ausiliari del magistrato ed a cui delegare specifici
compiti e funzioni.
. .
.
Nella
pratica, una particolarissima attenzione viene riservata alla prima udienza
(art. 567 ss. c.p.c.), che viene individuata quale momento qualificante della
procedura, proprio perchè in occasione di essa possono attuarsi alcuni
significativi interventi in linea con le considerazioni appena esposte.
Attualmente, con il provvedimento che fissa l’udienza, il G.E.:
1.
comunica la nomina, avvenuta con decreto precedente, dell’esperto (il
quale presta giuramento innanzi al G.E., fuor d'udienza[7])
e precisa l’incarico conferitogli ed i relativi termini e modalità di
espletamento, ai sensi dell’art. 568 c.p.c.;
2.
convoca le parti affinchè siano sentite in ordine alla vendita: “all’udienza le parti possono fare osservazioni circa il tempo e le
modalità della vendita...”, ex
art. 569 c.p.c.. Se non vi sono opposizioni può procedersi alla vendita senza
incanto ai sensi degli artt. 570 ss. c.p.c.[8]
ovvero alla
vendita con incanto, eventualmente delegandola a notaio;
3.
designa l’istituto di credito ove il creditore procedente deve
depositare, prima dell’udienza, le somme (attualmente € 3.100) per le spese
di procedura, ivi comprese quelle per la pubblicità, tutte a cura della
cancelleria;
4.
ordina all’esecutato di depositare, ai sensi degli artt. 560 e 593
c.p.c., il rendiconto ed ogni documentazione informativa necessaria alla
procedura (codice fiscale, fatture per l’INVIM, documentazione di condoni e
licenza edilizia, certificati di abitabilità o agibilità del bene), cui
consegue - in difetto - la possibile sostituzione nella custodia e, come
sanzione, il diniego all’occupazione dell’immobile pignorato;
5.
fissa la medesima udienza per la discussione del rendiconto della
gestione del debitore nonchè per decidere su eventuali istanze di sostituzione
dell'esecutato nella custodia del bene pignorato.
Inoltre,
nel progetto vi è una espressa propensione all’aumento delle fonti
informative che possano fornire dati utili per il prosieguo della procedura.
Dette fonti ulteriori, o meglio le relative informazioni, sono auspicabili e
necessarie, da acquisire d’ufficio se del caso mediante applicazione degli
artt. 213 c.p.c. e 96 disp. att. c.p.c., in veste di richiesta di informazioni
alla pubblica amministrazione. Le informazioni così acquisite rientrano a buon
diritto nel procedimento mediante inserzione della nota informativa nel
fascicolo d’ufficio.
Tali
informazioni consistono essenzialmente in:
1.
risultanze anagrafiche del debitore;
2.
situazione urbanistica e sanitaria dell’immobile pignorato (per evitare
effetti invalidanti della vendita coattiva);
3.
individuazione dei reali occupanti degli immobili pignorati, anche al
fine di consentire che gli eventuali terzi portatori di diritti sui beni possano
essere convocati ex art. 485 c.p.c..
. . .
All’udienza
di comparizione fissata si assiste quindi:
1.
alla consegna da parte dell’esecutato della documentazione richiestagli
dal G.E. con il provvedimento di fissazione dell’udienza di comparizione; in
tal caso, il G.E. emette provvedimento con il quale autorizza, ex art. 560 c.p.c., il debitore a continuare ad occupare
l’immobile pignorato;
2.
in difetto di comparizione del debitore esecutato ovvero nel caso in cui,
pur comparendo, non ottemperi a versare in atti del processo esecutivo la
documentazione richiesta, alla istanza - a facoltà dei creditori - di
sostituzione del debitore nella custodia e contestuale nomina a custode
giudiziario dello stesso ausiliare già incaricato della stima, con obbligo di
rendiconto semestrale;
3.
alla messa in vendita del compendio, con fissazione delle relative
modalità (con o senza incanto, ed eventualmente con delega a notaio);
4.
in alternativa al punto precedente, prima di collocare in vendita il bene
il G.E. potrà disporre che vengano rimossi quegli ostacoli che potrebbero
disincentivare od anche impedire la fruttuosa vendita in sede coattiva. Fra
questi, a titolo d’esempio, i più ricorrenti sono: l’incertezza sullo stato
occupazionale del bene ovvero l’occupazione non autorizzata da parte dell’esecutato
o di terzi sprovvisti di titolo opponibile (sul punto si vedrà in dettaglio infra),
lo stato di irregolarità amministrativa nel quale versa il compendio, tale da
impedirne la stessa trasferibilità, ovvero lo stato di collabenza o comunque di
pericolo in cui il bene versa, tale da richiedere interventi urgenti atti a
garantirne la sopravvivenza ancor prima dell’appetibilità commerciale. Tale
elencazione è tutt’altro che tassativa, evidentemente: nella pratica, anche
altri - sebbene statisticamente meno ricorrenti - possono essere i motivi
suscettibili di sconsigliare la immediata disposizione della vendita.
. .
.
Come
detto, il sistema di vendita introdotto dal Tribunale di Bologna si impernia
sulla rivalutazione della modalità di vendita senza incanto. Più voci, da più
parti, si sono negli ultimi anni levate in sostegno di tale modalità, ritenuta
per più di un motivo preferibile a quella, tradizionalmente scelta, della
vendita con incanto. A fine esplicativo e riassuntivo, basterà qui riportare le
parole dell’on. Ennio Parrelli, relatore della proposta di legge sulle
“modifiche al codice di procedura civile in materia di espropriazione
forzata”[9].
Nella relazione sul testo della proposta, così come licenziata il 20 dicembre
1999 dalla Commissione Giustizia della Camera, si legge: “il principio fondamentale che innerva tutto l’impianto è la
considerazione, in via obbligatoriamente subordinata, del sistema di vendita con
l’incanto nella consapevolezza che in siffatte modalità si annidano, da un
lato, tanta parte dei lunghi tempi esecutivi con il rinvio per aste deserte che
giocano al ribasso e rinnovi delle aste stesse e dei loro costosi adempimenti e,
dall’altro canto, le cosiddette 'mafie d’asta' con tutti gli illeciti
connessi e conseguenziali per il formarsi di camarille di habitués
impenetrabili, agguerrite e aggressive nei confronti di chi, estraneo a loro,
voglia partecipare liberamente alle aste”.[10]
La
vendita senza incanto va intesa peraltro come vendita caratterizzata dallo
stesso grado di pubblicità e trasparenza della vendita con incanto, ma che
permette di superare fasi morte come le diserzioni dell’incanto, spesso
innescate dalla collocazione episodica degli immobili sul mercato, effetto
tipico del tradizionale sistema di vendita con incanto.
Disposta
la vendita, viene data pubblicità della stessa con un sistema, inaugurato nella
prassi bolognese ed oramai divenuto d’ordinanza in molti Tribunali, che - a
differenza di quanto accadeva in passato - non disperde più le pubblicità
delle singole vendite su diverse giornate e pagine, ma le concentra in una
grande pagina nella quale vengono periodicamente, a scadenze fisse, pubblicate
contestualmente tutte le inserzioni pubblicitarie di ogni bene posto in vendita.
Il
sistema attualmente in uso è stato individuato in quanto si è cercato di
utilizzare forme di pubblicità che, nel rispetto della legge e con un risparmio
di costi, permettano di trovare il maggior numero possibile di proponenti acquirenti
dei beni posti in vendita, evitando lo stillicidio delle vendite deserte. La
pubblicità viene disposta a latere
del provvedimento di vendita senza incanto, per un anno a decorrere dalla data
di emissione dell’ordinanza di vendita, e viene richiesta a cura della
cancelleria (con risparmio non solo di costi, ma anche di tempo, per il
creditore procedente) su testate di quotidiani e giornali commerciali locali,
per diverse fasi. Una prima fase, detta di lancio, nei primi due mesi; una
seconda fase, di mantenimento, entro tre mesi dal termine della fase di lancio;
ed una terza fase, conclusiva, entro tre mesi dal termine della seconda fase.
Ogni fase dura circa un mese e mezzo. La pubblicità viene effettuata per
blocchi di beni, in modo da occupare quasi un’intera pagina della testata,
cosicchè gli annunci del Tribunale risultino assai visibili e riconoscibili, ed
i relativi costi ammortizzati.
E’
stato stipulato un accordo con le varie testate ed il costo della pubblicità
per tutte le tre fasi (pari a 37 lanci) si aggira per ogni esecuzione mediamente
su € 3.500, con costi ovviamente più contenuti ove il bene sia venduto in una
delle prime fasi. Va inoltre considerato che, per lo stesso costo, la pubblicità
viene inserita anche in due distinti siti internet.
Il medesimo procedimento di vendita senza incanto con il sistema di pubblicità
relativa viene utilizzato anche nell’ambito delle vendite fallimentari, il che
contribuisce all'abbattimento dei costi medi pubblicitari. Questa prassi,
inaugurata dal Tribunale di Bologna e seguita da molti Tribunali, ha ispirato la
recente riformulazione dell'art. 490, co. 3, c.p.c., che oggi recita: "il
giudice dispone inoltre che l'avviso sia inserito una o più volte sui
quotidiani di informazione locali aventi maggiore diffusione nella zona
interessata o, quando opportuno, sui quotidiani di informazione nazionale e,
quando occorre, che sia divulgato con le forme della pubblicità commerciale. La
divulgazione degli avvisi con altri mezzi diversi dai quotidiani di informazione
deve intendersi complementare e non alternativa"[11].
Una
volta che sia pervenuta in cancelleria una offerta con le modalità di cui
all’ordinanza di vendita senza incanto, il giudice dell’esecuzione fissa una
udienza, da tenersi entro novanta giorni dalla data di deposito dell’offerta,
per procedere alla vendita e dispone che ne sia data idonea pubblicità con
modalità analoghe a quelle sopra descritte (e cioè su dieci testate locali ed
a cura della cancelleria), segnalando l’importo dell’offerta pervenuta (il
nominativo dell’offerente non viene pubblicato, al fine di evitare eventuali
turbative), il giorno e l’ora fissati per la vendita ed il nome del giudice
dell’esecuzione.
Il
giorno dell’udienza innanzi al G.E. si tiene l’asta tra gli offerenti,
nell’ipotesi in cui siano pervenute più offerte, con aggiudicazione del bene
al miglior offerente. Diversamente, in presenza di un unico offerente, il bene
viene aggiudicato all’unico offerente.
2. Lo stimatore-custode.
Figura
chiave della prassi bolognese è quella dell’ausiliare tecnico del giudice,
che di norma alla funzione di perito stimatore assomma, a richiesta dei
creditori, quella di custode giudiziario del compendio. Allo stimatore, nominato
fuori udienza con decreto separato da quello con il quale viene fissata
l’udienza di comparizione, il G.E. conferisce incarico di:
–
descrivere ed individuare i beni pignorati, eventualmente procedendo ai
necessari accatastamenti;
–
verificare la conformità dei beni a concessioni, licenze e quant'altre
autorizzazioni, ivi comprese quelle relative alla abitabilità ed alla usabilità;
–
accertare i diritti reali gravanti sull’immobile;
–
verificare l'occupazione dell'immobile da parte del debitore esecutato e
della sua famiglia; accertare gli eventuali rapporti di locazione o di altro
tipo, indicandone il corrispettivo e verificandone la opponibilità alla
procedura, in relazione alla data di registrazione dei rispettivi contratti,
tenendone conto nella redazione della stima;
–
esprimere parere sull’opportunità di formare uno o più lotti,
eventualmente procedendo ad appositi frazionamenti catastali;
–
indicare le eventuali opere necessarie per il ripristino della
funzionalità compromessa degli immobili;
–
esprimere parere sulla comoda o meno divisibilità del bene (nel caso in
cui ne sia stata pignorata una quota), in vista dell'eventuale giudizio di
divisione incidentale;
–
acquisire le piante planimetriche e le fotografie dei beni;
–
acquisire i dati necessari per le denunce fiscali e per la voltura dei
beni all'aggiudicatario definitivo;
–
stimare il valore dei beni;
–
depositare la propria relazione scritta in cancelleria entro un termine
scadente prima dell’udienza di comparizione;
–
acquisire i documenti necessari ai fini di eventuali sanatorie o condoni
dei beni pignorati;
–
predisporre la dichiarazione INVIM (quando la vendita non è delegata a
notaio);
–
presentare relazione scritta al G.E. su eventuali problemi incontrati.
Custode
ex lege dell’immobile pignorato è
il debitore esecutato, il quale ne è responsabile civilmente ex
art. 67 c.p.c., norma che prevede l’applicazione di una pena pecuniaria per i
danni eventualmente cagionati, e penalmente (artt. 334, 335, 349, 350, 388 e 388
bis c.p.); egli deve custodire il bene
con la diligenza del buon padre di famiglia.
La
custodia dei beni pignorati spetta quindi al debitore, nonostante sia ormai
convinzione diffusa nella pratica ed anche nella dottrina che tale scelta si sia
rivelata, alla prova dei fatti, inopportuna[12],
dal momento che è assai improbabile che un debitore esecutato - per esempio -
faccia acquisire alla procedura, e non alle proprie tasche, il canone di
eventuali locazioni in corso, la cui sottrazione alla procedura beneficia
peraltro della mancata previsione nel nostro ordinamento di un regime di
pubblicità dei contratti di locazione infranovennali. Si può ben parlare di
una vera e propria trascuratezza normativa al riguardo, che ha spinto ad
affermare che “tutta la disciplina
normativa in materia di pignoramento ... soffre di una inspiegabile carenza,
foriera di gravi conseguenze, e cioè dell’omissione di qualunque
considerazione degli effetti del pignoramento sul possesso o sulla detenzione da
parte del debitore della cosa pignorata”[13].
Sulla
scorta del dato comune acquisito, secondo il quale una custodia, per essere
efficace, deve essere esercitata da un soggetto terzo, nel progetto bolognese si
è previsto un meccanismo di generalizzata sostituzione del debitore nella
custodia su istanza del creditore[14],
sentito lo stesso esecutato. Ma, sebbene l’art. 559 c.p.c. autorizzi il G.E. a
sostituire il debitore esecutato nella custodia del compendio pignorato senza
sottoporre ad alcuna condizione questa sua facoltà, fatto salvo l’obbligo di
sentire il debitore e dell’istanza da parte del creditore[15],
nella prassi bolognese si è comunque preferito adottare un sistema premiale che
comporta che la sostituzione venga disposta solamente quando l’esecutato non
sia collaborativo, e cioè quando il comportamento di questi sia suscettibile di
ritardare o impedire la vendita ovvero rendere l’esecuzione più laboriosa[16].
Nella pratica, ciò avviene soprattutto quando il soggetto esecutato non si
presenta all’udienza di comparizione ovvero quando, pur comparendo, non rende
il conto della gestione oppure non rende quelle informazioni utili alla
procedura, quali notizie sullo stato occupazionale dei beni pignorati, sulla
conformità amministrativa degli stessi, sulle eventuali pratiche di condono in
essere, sulla consistenza degli oneri condominiali, et caetera.
Tale
provvedimento del G.E. non è impugnabile, neppure con ricorso per cassazione ai
sensi dell’art. 111 cost., trattandosi di provvedimento meramente
conservativo, a contenuto ordinatorio e non decisorio, revocabile e modificabile
dallo stesso G.E., ai sensi dell'art. 66, co. 3, c.p.c.[17]. Tuttavia,
a tale principio la Corte di Cassazione ha ritenuto che debba derogarsi quando i
beni oggetto della espropriazione immobiliare siano di proprietà di un soggetto
fallito, assoggettati alla procedura esecutiva individuale per credito fondiario
ex art. 42 r.d. n. 646 del 1905. In
tal caso, il curatore del fallimento non può essere sostituito dal giudice
dell’esecuzione nella custodia giudiziaria dei beni e, se ciò avvenga, il
curatore può proporre opposizione avverso l'ordinanza del G.E. che lo abbia
sostituito, a norma dell'art. 66 c.p.c., nella custodia degli immobili del
fallito, e contro la sentenza pronunciata sull'opposizione è ammissibile il
ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111 cost.; il curatore non diviene
comunque ausiliare del giudice dell’esecuzione, ma mantiene i suoi poteri di
custodia ed amministrazione sotto la sorveglianza del giudice delegato, secondo
le regole proprie della procedura fallimentare[18].
Il principio è comunque tutt’altro che pacifico, avendo la Cassazione in
altra occasione[19] sancito che il potere di
nominare o sostituire il custode dei beni pignorati spetta non già al giudice
delegato al fallimento, bensì a quello dell'esecuzione immobiliare, il quale,
non è tenuto a conferire tale incarico al curatore del fallimento, consentendo
la legge la coesistenza delle due procedure.
Del
pari, contro il provvedimento di sostituzione del custode (così come contro
tutti gli atti c.d. amministrativi, fra i quali anche il provvedimento del G.E.
autorizzativo della stipula di un contratto relativo al bene pignorato, ovvero
quello pronunciato sul rendiconto del custode) non si è ritenuto, nella
dottrina dominante[20]
come in giurisprudenza[21],
che sia ammissibile l’opposizione agli atti esecutivi ex art. 617 c.p.c.; va tuttavia segnalato che, nel d.d.l. del 21
dicembre 2001 recante "modifiche urgenti al codice di procedura
civile", l'opposizione agli atti esecutivi (il cui termine utile verrebbe
raddoppiato da cinque a dieci giorni) diverrebbe il rimedio generale contro
tutti gli atti del giudice dell'esecuzione, ivi compresi quelli relativi alla
distribuzione del ricavato[22].
Può
quindi venire nominato in concreto un custode terzo, al quale, diversamente dal
debitore (al quale spetta solo il rimborso delle spese), spetta un compenso, ai
sensi dell’art. 65, co. 2, c.p.c. (ed, a
contrariis, dell’art. 559, co. 2, c.p.c., che esclude il diritto al
compenso del solo debitore esecutato), stabilito dal giudice che l’ha nominato
e del quale il custode costituisce ausiliare, da determinarsi con prudente
apprezzamento in relazione alla durata dell’incarico e della sua complessità[23].
Non sono previsti espressamente dal codice requisiti di capacità del custode;
compete al custode giudiziario la conservazione e l'amministrazione dei beni
pignorati, quando la legge non dispone altrimenti, a norma dell'art. 65, co. 1,
c.p.c., in quanto il pignoramento, in base all'art. 2912 c.c., comprende gli
accessori, le pertinenze ed i frutti della cosa pignorata, e dunque anche, quali
frutti civili, il corrispettivo delle locazioni, ai sensi e per gli effetti di
quanto previsto agli artt. 820, co. 3, 2918 e 2924 c.c., 509 e 594 c.p.c.[24].
Nel
caso in cui lo stimatore venga anche nominato, su istanza dei creditori, custode
in sostituzione del debitore, allo stesso viene anche dato incarico di:
–
conservare i beni pignorati con la diligenza del buon padre di famiglia
(art. 67, co. 2, c.p.c.; artt. 1176, co. 2; 1177; 1710, co. 1; 1768, co. 1; 2051
c.c.), verificandone lo stato di manutenzione sia all'atto della nomina sia
successivamente, con accessi periodici;
–
amministrare i beni qualora questi siano a reddito, provvedendo alla loro
gestione oculata secondo le regole della corretta amministrazione ed incassando
canoni e rendite mediante deposito delle relative somme nel libretto bancario
intestato alla procedura;
Il
custode ha altresì la legittimazione processuale attiva e passiva per
l’ordinaria amministrazione[25];
per gli atti eccedenti la stessa, è legittimato previa autorizzazione del
giudice, il quale ha comunque anche il potere di ratificare gli atti di
straordinaria amministrazione compiuti senza la sua preventiva autorizzazione[26].
È altresì direttamente legittimato, senza necessità di espressa
autorizzazione del giudice, a compiere attività di gestione amministrativa del
bene, delle quali si parlerà infra con
particolare riferimento alla locazione del bene pignorato: al di fuori di queste
ipotesi, val comunque la pena segnalare che non si ritiene che debba essere
autorizzato il pagamento delle spese di conservazione dell’immobile, mentre
appare viceversa soggetta ad autorizzazione la sottoscrizione di un mutuo
fondiario per la manutenzione straordinaria dell’immobile[27].
Infine, il custode deve presentare periodicamente il rendiconto, che è
d’obbligo per beni fruttiferi (artt. 560, co. 1, c.p.c.[28].
Non
bisogna poi dimenticare che il codice di rito, agli artt. 591 ss. c.p.c.,
disciplina una ipotesi, formalmente diversa dalla custodia, di amministrazione
dei beni pignorati: si tratta della amministrazione giudiziaria cui i beni
pignorati possono venire sottoposti a seguito di diserzione di primo incanto (si
tratta quindi di ipotesi non verificabile nel caso in cui sia stata disposta la
vendita nella modalità senza incanto) e di mancanza di istanze di assegnazione,
e si ritenga inopportuno procedere ad un nuovo esperimento d’asta. In tal caso
può essere disposta l’amministrazione giudiziaria per un periodo non
superiore a tre anni, nel corso di quali amministrare i beni pignorati
produttivi di reddito, in attesa di tempi migliori per la vendita[29].
Come
già è stato autorevolmente osservato[30],
si tratta di una ipotesi di amministrazione del compendio diversa dalla custodia
più nella forma che nella sostanza - e la cui unica vera differenza risiede nel
limitato termine temporale della amministrazione giudiziaria rispetto alla
durata della custodia, che può invece protrarsi per tutto il periodo di durata
della esecuzione, sino alla emissione del decreto di trasferimento in favore
dell’acquirente (il quale subentra al custode nella amministrazione del bene,
quale proprietario) - di tal chè, risolvendosi la custodia in una prolungata
amministrazione giudiziaria, occorre anche tenere in considerazione, esaminando
la prima, le norme codicistiche dettate per la seconda. In entrambi i casi,
infatti, custode ed amministratore giudiziario realizzano - in uno -
amministrazione del bene e realizzazione di denaro, non già proveniente dalla
vendita ma dai frutti e proventi del bene ancora invenduto, destinato al
soddisfacimento dei creditori[31].
3. La nomina del legale del
custode.
Quella del legale del custode è una figura nuova, che tradizionalmente
non si incontrava (ed ancora non si incontra, al di fuori della prassi del
Tribunale di Bologna e di pochi altri Tribunali, anche di quelli più vicini
all’esperienza bolognese) nei procedimenti di espropriazione immobiliare;
nemmeno è prevista istituzionalmente dal capo del nostro codice che si occupa
dell'espropriazione immobiliare. Ma se ci occupiamo dei contratti in frode ai
creditori non possiamo che affrontare questo argomento da un punto di vista
legale e apprezzarne le conseguenze e gli aspetti di natura giuridica, cosa che
naturalmente il custode non è in grado di fare, per propria formazione
professionale, così come il legale non è in grado di fare valutazioni di
natura tecnica, che sono proprie della sfera di competenze professionali del
custode. Le figure del legale della custodia e del custode sono quindi,
necessariamente, due figure che si incontrano e che sono complementari al
raggiungimento di uno scopo, consistente nel recupero di effettività
dell'espropriazione immobiliare.
L'esecuzione
immobiliare, come è stata tradizionalmente praticata in Italia ed a Bologna
prima della introduzione della nuova prassi (e come comunque continua ad essere
praticata nella più parte dei Tribunali italiani) è un'esecuzione che convive
pacificamente con la frode ai creditori da parte dell'esecutato. La frode è un
fenomeno tutt'affatto episodico; appartiene alla fisiologia stessa della
espropriazione immobiliare: è stato accettato e continua a venir accettato da
più parti tacitamente. Il fatto che l'esecutato continui ad abitare
nell'immobile espropriato e che l'espropriazione di fatto non coincida con il
momento del pignoramento, che è il momento - come noto - in cui l'esecutato
perde la disponibilità del bene, viene comunemente tollerato. L'espropriazione
non si realizza nemmeno con l'emissione del decreto di trasferimento, ma viene
nella pratica ulteriormente differita ad un momento che segue, anche di
parecchio (2-3 anni! a Bologna[32]),
la emissione del decreto, a causa delle croniche lungaggini dell'Ufficio del
Registro. Fintanto infatti che l’imposta di registrazione e la congruità
INVIM non vengono liquidate dall'Ufficio del Registro, ed il decreto di
trasferimento non viene registrato, l'acquirente non ha in mano il titolo
esecutivo, che è costituito dal decreto di trasferimento in forma esecutiva,
con il quale - e solo allora - potrà procedere alla richiesta giudiziaria di
rilascio dell'immobile, del quale ha da tempo acquistato la proprietà, ma non
il godimento. Questa situazione, se non vi si pone rimedio, crea certamente un
notevole danno ai diritti dell'acquirente e, su un piano più generale, grava
sulla effettività dell’espropriazione, perché porta il mercato ad avere un
atteggiamento di diffidenza nei confronti degli acquisti compiuti all’interno
delle esecuzioni forzate.
La
finalità della nomina del legale del custode, e l’impegno che lo anima, vanno
quindi nella direzione di cercare di recuperare effettività ed efficacia della
procedura espropriativa, anticipando il momento di liberazione dell'immobile,
con l’effetto di accelerare le operazioni di vendita, garantire un ricavato
maggiore e restituire fiducia al mercato dei pubblici offerenti.
4.1. L’occupazione del
compendio da parte del debitore esecutato; il diniego della autorizzazione alla
occupazione.
Con
riferimento alle previste ed applicabili sanzioni, anche alla stregua della
vigente normativa, la permanenza del debitore esecutato nell’immobile
pignorato è prevista previa autorizzazione del giudice ex
art. 560 c.p.c. e può essere in concreto, come concretamente avviene nella
prassi in esame, non autorizzata in caso di mancata fattiva collaborazione, con
obbligo di sgombero dei locali dell’immobile per i quali l’esecutato non
abbia avuto autorizzazione a restare. In pratica si è quindi prevista una
applicazione non generalizzata ed indiscriminata del diniego del giudice a che
il debitore continui ad occupare i beni oggetto di espropriazione, ma si è
preferito identificare meccanismi compulsivi della collaborazione da parte
dell’esecutato, con la previsione di quella richiesta di documentazione,
necessaria alla procedura, che all’esecutato viene indirizzata dal G.E. in uno
con la notifica dell’udienza di comparizione, il che peraltro esclude che l’esecutato
possa in ogni caso vedersi revocata l’autorizzazione alla occupazione prima
che il bene sia stato effettivamente posto in vendita.
È quindi solo in
presenza di un atteggiamento di disinteresse o comunque non fattivamente
collaborativo dell’esecutato che il G.E. provvede ai sensi dell’art. 560,
co. 3, c.p.c.[33]. La disposizione in
questione, nel dettare che “con
l'autorizzazione del giudice il debitore può continuare ad abitare
nell'immobile pignorato, occupando i locali strettamente necessari a lui e alla
sua famiglia” lascia peraltro intendere che di norma al debitore non
sarebbe consentito di continuare ad occupare il compendio, e solo l'eccezione
costituita dalla autorizzazione del giudice potrebbe consentire all'esecutato ed
alla sua famiglia di continuare ad occupare i beni oggetto del pignoramento[34].
Come già detto, comunque, il principio della automatica non autorizzazione alla
occupazione non viene applicato rigorosamente, a salvaguardia di un principio di
non accanimento contro chi già si trova provato dalla comunque gravosa
esperienza della espropriazione di un bene che spesso rappresenta il luogo della
propria abitazione.
È stato
osservato che sia il provvedimento ex art.
560 c.p.c., adottato dal G.E. a seguito del proprio diniego a consentire
ulteriormente al debitore esecutato di godere dell’immobile pignorato, sia il
provvedimento che ne costituisce il logico presupposto - e cioè il decreto
emesso ex art. 559 c.p.c., con il
quale il G.E. ordina la sostituzione dell’esecutato nella custodia del bene -
susciterebbero qualche perplessità in ordine al riconoscimento della loro
efficacia quale titolo esecutivo per il rilascio. E ciò indipendentemente dalla
(ipotetica) incompatibilità di tale provvedimento di rilascio (per lo meno, da
intendersi quale provvedimento sostanzialmente equiparato ad un ordine di
rilascio) con la specialità della materia, una volta riservata alla competenza
funzionale del Pretore ed ora comunque al giudice civile ordinario (non anche
giudice dell’esecuzione).
La
giurisprudenza, che di certo non abbonda di pronunce in punto specifico,
avvalora tuttavia la tesi della esecutività del provvedimento ex
art. 560 c.p.c.. Ciò è avvenuto con la sentenza della Cassazione n. 744
del 31 marzo 1949[35],
che ha già compiuto cinquant’anni ma che rimane ad oggi l’unico precedente
noto in argomento. La Cassazione ha sancito che “l’ordinanza
che dispone la sostituzione di altra persona al debitore nelle funzioni di
custode dei beni pignorati è per se stessa esecutiva in quanto impone
senz’altro al debitore di consegnargli la cosa custodita. Pertanto
l’immissione in possesso effettuata a mezzo di ufficiale giudiziario del nuovo
custode nei confronti del debitore, previa notifica dell’ordinanza e del
precetto di rilascio non integra gli estremi di uno spoglio in danno del debitore medesimo”.
Tutto
quel che segue la surroga del custode (che comporta, come visto, l’obbligo del
custode di ottenere la cosa custodita) viene espressamente definito dalla
Cassazione un semplice “episodio” del processo esecutivo, con la conseguenza che se è
esecutivo il provvedimento di sostituzione nella custodia (ex art. 559 c.p.c.) sono automaticamente esecutivi anche tutti i
provvedimenti successivi volti ad ottenere la liberazione del compendio, fra i
quali quindi anche il decreto di non autorizzazione all’occupazione emesso ai
sensi dell’art. 560 c.p.c.[36].
E’ per questo motivo che, prima di notificare all’esecutato i provvedimenti
di volta in volta emessi dal G.E. con riguardo all’esecutato (in primis, il provvedimento non autorizzativo dell’occupazione, ex
art. 560 c.p.c.), occorre notificare l’ordinanza di surroga del custode, che
è il vero titolo esecutivo. La giurisprudenza di merito del Tribunale di
Bologna si è espressa esattamente in conformità con l’indirizzo risalente,
ma mai disatteso, della Suprema Corte, ed è stato sancito che “l’ordinanza
di rilascio emessa ex art. 560 c.p.c. non costituisce atto giurisdizionale ma
provvedimento esecutivo ed ordinatorio, per sua stessa vocazione non
riconducibile all’art. 474 c.p.c.”[37].
In più, è stato osservato nella medesima pronuncia che l’intrinseca
esecutività del provvedimento deriva, a monte, dal fatto che “l’atto di pignoramento costituisca momento di 'privazione' del
debitore dal libero possesso e godimento dell’immobile, di cui il diniego
all’abitazione costituisce semplice estrinsecazione o modalità attuativa”.
Volendo ulteriormente argomentare sulla efficacia e sulla natura
esecutiva dei provvedimenti emessi dal G.E. ai sensi degli artt. 559 e 560
c.p.c., si può osservare che l’art. 475 c.p.c. dispone che le sentenze e gli
altri provvedimenti dell’autorità giudiziaria, per valere come titolo per
l’esecuzione forzata, debbono essere muniti della formula esecutiva, salvo che
la legge disponga altrimenti. Questa previsione ha ragioni meramente storiche[38],
che rendono l’origine della formula estranea ai moderni ordinamenti, e non se
ne comprende la sua singolare vitalità[39].
In realtà l’apposizione della formula esecutiva non è che un’affermazione
esteriore e solenne di una efficacia inerente di per sé al titolo esecutivo;
d’un ordine agli organi esecutivi che già deriva dalla legge in base al fatto
concreto della esistenza di un titolo esecutivo, tanto più che la clausola è
apposta da un organo giurisdizionale inferiore come il cancelliere[40].
La
generale tendenza volta a “devitalizzare” la spedizione in forma esecutiva
ha contribuito a creare tutta una serie di casi in cui il titolo esecutivo può
essere suscettibile di esecuzione indipendentemente dall’apposizione della
formula. Tale effetto trova la propria giustificazione normativa nella clausola
di chiusura dell’art. 475, co. 1, c.p.c.: “...
salvo che la legge disponga altrimenti”. Esempi di siffatte eccezioni
sono: i provvedimenti cautelari, i provvedimenti possessori, lo stato di
graduazione formato dall’erede con l’assistenza del notaio ex
art. 502 c.c. ed il decreto di ammortamento dei titoli di credito, tutti atti
per i quali non è necessaria la spedizione in forma esecutiva ai fini
dell’esecuzione forzata.
Come
esempio possiamo prendere in considerazione, fra i provvedimenti cautelari, il
sequestro giudiziario, per evidenziare quelle che sono le ragioni che
giustificano la superfluità della formula esecutiva secondo un indirizzo
consolidato della Suprema Corte[41].
Non può porsi in dubbio che, proprio per gli scopi che persegue, l’azione
cautelare ha carattere prevalentemente esecutorio, per cui il provvedimento di
sequestro non serve ad altro che ad ottenere e rendere possibile l’esecuzione,
anche se in via soltanto provvisoria, tanto da essere comminato di un termine
per la sua attuazione e tanto da essere assimilato dalla legge stessa alle forme
di una esecuzione: un provvedimento provvisorio e modificabile non ha per questo
minor forza esecutiva.
Pretendere
quindi che il custode agisca secondo i normali canoni di una azione di
esecuzione significherebbe non solo dargli una veste di parte che non ha, ma
soprattutto dimenticare la funzione pubblicistica cui adempie assumendo la
figura giuridica di ausiliare di giustizia: egli è, cioè, un privato che con
l’ordinanza di sostituzione del custode viene occasionalmente incaricato di un
pubblico ufficio temporaneo che deve esercitare imparzialmente ma come longa
manus del giudice, ancorchè con una certa autonomia e sotto la propria
personale responsabilità. Il custode è difatti ricompreso dal codice vigente
fra gli ausiliari del giudice e non può essere considerato il rappresentante
delle parti litiganti, bensì un gestore autonomo che custodisce ed amministra i
beni nell’interesse di quello fra i litiganti che risulta essere portatore del
“buon diritto”, sempre operando sotto la vigilanza ed il controllo del
giudice che ne stabilisce i criteri, i limiti e le particolari cautele da
adottare. Il custode ha il potere di conservare i beni indicati nell’ordinanza
di sequestro, il che implica innanzitutto la presa di possesso degli stessi:
questo infatti costituisce il primo comando che l’ordinanza di nomina del
giudice gli impone.
Le
condizioni ora esposte con riferimento alla misura cautelare del sequestro, e
legittimanti un’esecuzione del titolo senza la spedizione in forma esecutiva,
appaiono chiaramente verificate anche con riferimento alla ordinanza di
sostituzione del debitore esecutato nella custodia ed ai provvedimenti
conseguenti e da esso dipendenti, quale l’ordinanza con la quale il G.E., ai
sensi degli artt. 559 e 560 c.p.c. non autorizza l’esecutato alla occupazione
del compendio. Infatti, al pari di un provvedimento cautelare, l’ordinanza de
qua risulta chiaramente caratterizzata sia da un rapporto di strumentalità
con il processo in corso, essendo finalizzata a garantirne il buon esito, sia da
una esclusività (univocità) dello scopo. Orbene, se è vero che ricorrono
quelle stesse condizioni che la Cassazione ritiene sufficienti a legittimare
un’esecuzione senza formula esecutiva, allora per certo non potrà negarsi
l’applicabilità di tale conclusione al caso dei provvedimenti in questione
emessi dal giudice dell’esecuzione immobiliare. Di fronte infatti ad
un’identità di condizioni (la eadem
ratio), l’applicazione analogica di un principio consolidato è tanto
inoppugnabile quanto necessaria, per i fini di certezza del diritto, ed
escluderne l’applicabilità potrebbe addirittura apparire irragionevole.
Alla
diatriba sulla efficacia - o meno - esecutiva dei provvedimenti in esame si
offre in ogni caso di porre termine il già ricordato d.d.l. del 21 dicembre
2001, il quale propone un intervento legislativo che risolva una volta per tutte
la questione, mediante l'aggiunta di un quinto comma all'attuale formulazione
dell'art. 560 c.p.c., del seguente tenore: "i
provvedimenti di nomina e di revoca del custode e l'autorizzazione di cui al
precedente terzo comma o la sua revoca sono dati con ordinanza costituente
titolo esecutivo per il rilascio e non impugnabile".
Chiarito
che il titolo del quale dispone il custode nei confronti dell’esecutato è
certamente munito di forza esecutiva, vanno identificate le corrette modalità
della sua esecuzione. Volendo ritenere tale titolo esecutivo in tutto e per
tutto assimilabile ad un provvedimento tipico di rilascio coattivo, quale una
convalida di sfratto o di licenza per finita locazione, esso dovrà essere
seguito dalla notificazione dell’atto di precetto e, successivamente, del
preavviso di rilascio; volendo invece assimilare l’ordinanza emessa ai sensi
dell’art. 559 c.p.c. ad un provvedimento cautelare, non vi sarà necessità di
notificare previamente nè precetto nè preavviso. Nella pratica, tuttavia, la
scelta fra una delle due opzioni suddette dipende il più delle volte non dal
convincimento che una delle interpretazioni sia più corretta dell’altra, ma
è obbligata, sul terreno pratico, dalla disponibilità ad eseguire del singolo
ufficiale giudiziario. Si è infatti riscontrata, nell’esperienza dei legali
dei custodi, una variegatissima disomogeneità fra i vari uffici dislocati sul
territorio (comprendente anche le sezioni distaccate del Tribunale di Bologna) e
finanche fra i vari ufficiali esecutori all’interno dello stesso ufficio
esecuzioni di Bologna.
Ritengo
tuttavia che, anche al fine di superare le difficoltà appena riferite, la
strada maestra, e certamente la più spedita e meno gravosa anche in termini
economici per la procedura, sia per il custode, assistito dal legale nominato
dal G.E., quella di richiedere direttamente l’assistenza della forza pubblica
e di eseguire autonomamente il provvedimento, senza il tramite dell’ufficiale
giudiziario. Ciò è possibile in quanto l’art. 68 c.p.c. dispone che “...
quando ne sorga la necessità, il giudice ... si può far assistere da esperti
in una determinata arte o professione e, in generale, da persona idonea al
compimento di atti che egli non è in grado di compiere da sè solo. ... Il
gudice può sempre richiedere l’assistenza della forza pubblica”. Tale modus
operandi, già sperimentato in più di un’occasione, ha incontrato la
collaborazione delle forze dell’ordine ed ha dato i migliori risultati in
termini di effettività della tutela dei diritti-doveri della custodia.
Naturalmente,
tutto quanto abbiamo sino ad ora esposto in merito alla posizione del debitore
esecutato vale nel caso in cui questi sia proprietario esclusivo del compendio,
giacchè non può ordinarsi il rilascio di un bene in comproprietà pro
indiviso, essendo necessario prima concretizzare la quota in una porzione
ben determinata previa divisione del bene stesso[42].
4.2. L’occupazione del
compendio da parte di terzi muniti di titolo opponibile; le azioni del legale
del custode.
L’occupazione da parte dell’esecutato del bene sottoposto ad
esecuzione forzata produce, come abbiamo visto, uno stato del bene tale da
ingenerare contraddizione con la procedura espropriativa, tanto che è lo stesso
legislatore a prevedere come eccezione e non come regola, con la formulazione
del disposto dell’art. 560 c.p.c., il fatto che l’esecutato possa mantenere
- richiedendo l'apposita autorizzazione - l’occupazione del bene in corso di
esecuzione.
Caso diverso è
comunque quello della occupazione non da parte dell’esecutato e del suo nucleo
familiare, bensì da parte di terzi. In questo caso l’ordinamento è ancor più
rigoroso, e ben se ne intende la motivazione: se il bene pignorato non è
occupato dall’esecutato e dalla sua famiglia, ma da terzi (con la conseguenza
che, evidentemente, il compendio non rappresenta l’unica risorsa occupazionale
dell’esecutato), sul piano di tutela sociale della parte economicamente più
debole - quale fisiologicamente è il debitore espropriato - viene meno la
ragione della possibilità, che il sistema codicistico attribuisce
all’esecutato, di continuare ad occupare il compendio; sul piano della tutela
del ceto creditorio destinato a vedere soddisfatto il proprio diritto sui beni
oggetto della espropriazione, subentra inoltre l’interesse a che i frutti
civili prodotti dai beni pignorati vengano a concorrere alle somme che saranno
oggetto di ripartizione del ricavato dalla vendita di tali beni.
Se
l’occupazione del bene pignorato non è esercitata dallo stesso esecutato, ma
da un terzo[43],
tale occupazione deve essere autorizzata dal giudice dell’esecuzione, ex
art. 560, co. 2, c.p.c.. Come corollario di questo principio generale, secondo
il quale ogni nuova conduzione da parte di un terzo deve essere espressamente
autorizzata, consegue anche che il proprietario-locatore perde la legittimazione
a proporre azione di rilascio nei confronti del conduttore per finita locazione,
quando la res locata è sottoposta a
procedura espropriativa, atteso che col pignoramento il proprietario-locatore
(esecutato) perde i poteri di disposizione dell'immobile[44].
Vi
è da aggiungere a questo punto che, ai fini dell’attività del custode di
riscossione e di deposito dei canoni locativi, così come per l’esercizio
delle azioni giudiziali che possono rappresentare l’appendice patologica di
tali attività, non si ritiene in dottrina che sia necessaria l’autorizzazione
ad hoc del G.E., rientrando tali
attività nel novero di quei “poteri minimi” attribuiti al custode,
correlati alla conservazione del bene ed al mantenimento della sua produttività[45].
Allo stesso modo, si ritiene che non necessiti specifica autorizzazione
l’attività di deposito ed aggiornamento periodico dei canoni, mentre al
contrario si ritiene che debbano essere autorizzate la concessione in locazione
dell’immobile e l’azione volta al rilascio[46],
così come è stato sancito che il custode non possa, senza l’autorizzazione
del G.E., costituire diritti che pregiudichino i diritti dei creditori, come
trasformare la locazione in mezzadria[47]
o in colonia parziale[48];
è invece dubbio se debba essere autorizzata la rinnovazione della locazione[49].
Ciò
premesso, occorre distinguere se l’occupazione da parte di un conduttore terzo
- ove per terzo si deve intendere non (co)esecutato - venga esercitata in forza
di un titolo opponibile alla procedura esecutiva, oppure in assenza di titolo
ovvero in presenza di titolo non opponibile (non registrato o registrato dopo la
trascrizione del pignoramento immobiliare).
Fatto
questo preliminare e necessario distinguo, che porta a considerazioni diverse
nell’un caso e nell’altro, occupiamoci per primo del caso in cui il terzo
possa vantare un titolo di occupazione opponibile alla procedura. Ciò avviene
allorquando il contratto di locazione sia stato registrato in data antecedente
la trascrizione del pignoramento, ai sensi dell'art. 2923, co. 1, c.c.. In
tal caso occorrerà innanzitutto verificare se il terzo, occupante legittimo in
qualità di conduttore, paghi regolarmente i canoni di locazione, che
costituiscono frutti civili ed in quanto tali concorrono a formare la massa
attiva del patrimonio - quale somma di beni immobili e mobili - esecutato.
Della
percezione dei frutti civili l’esecutato deve rendere conto al G.E.,
depositando il conto della gestione alla udienza di comparizione e consegnando
le rendite disponibili (che andranno distribuite ai creditori ad integrazione
della somma ricavata dalla vendita). In pratica, è proprio perchè ciò spesso
non accade che il G.E. trova motivo di emettere il provvedimento di sostituzione
dell’esecutato nella custodia, ex art.
559 c.p.c..
Sono
dovuti alla procedura, pel tramite dello stesso esecutato ovvero - se nominato -
del custode giudiziario (funzione che in questo caso è più che mai opportuno
che venga assolta da persona diversa dall’esecutato, onde evitare accordi
sottobanco fra locatore e conduttore, in frode ai creditori iscritti nella
esecuzione immobiliare), tutti i canoni maturati dopo la trascrizione del
pignoramento[50].
È
quindi dal momento della trascrizione, e non da prima (dalla notifica del
pignoramento o dal deposito dell’istanza di vendita), che l’effetto
automatico di apprensione alla procedura esecutiva dei frutti civili diventa
opponibile a quel particolare terzo che è il conduttore del soggetto esecutato:
un terzo che, giova ricordarlo, non è il terzo comproprietario del bene
(necessario destinatario dello speciale avviso ex art. 598 c.p.c. posto a carico del creditore procedente), e
quindi è un soggetto terzo che non riceve alcuna comunicazione ufficiale
dell’avvenuto pignoramento del bene che egli conduce in locazione. Ciò fa sì
che il principio generale appena enunciato trovi un temperamento nel fatto che
il pagamento dei canoni eseguito dal terzo, anche dopo la trascrizione del
pignoramento, in mani del proprio locatore (esecutato, anche se egli
legittimamente può ignorare la circostanza) è un pagamento eseguito da un
terzo di buona fede, ed in quanto tale liberato dalla inopponibilità e
dall’obbligo di ripetizione dei pagamenti in favore della procedura esecutiva,
ai sensi di quanto disposto in via generale dall’art. 1189 c.c., in materia di
pagamento al creditore apparente.
Per
evitare che ciò possa avvenire basterà però che il custode (ma anche un
qualsiasi creditore) dia formale comunicazione dell’avvenuto pignoramento al
conduttore, diffidandolo dall’eseguire ulteriormente i pagamenti in mani del
locatore esecutato, così escludendo che il terzo possa per il futuro invocare
la propria buona fede e sottrarsi all’obbligo di ripetizione delle somme. Se
ciò avviene, il dies a quo della conoscibilità (divenuta effettiva conoscenza) da
parte del conduttore retrocede non tanto al momento della nomina del custode
(proprio perchè il conduttore terzo, non essendo parte del processo esecutivo,
non è tenuto a conoscerne i relativi atti) quanto a quello in cui il terzo
occupante è stato messo a conoscenza della circostanza del pignoramento e
dell’avvenuta nomina del custode, con la sostituzione di questi al locatore
esecutato quale soggetto percettore dei canoni. È per tale motivo che è
fondamentale che il custode, quale primissimo atto di esercizio della custodia,
scriva in raccomandata al terzo conduttore, comunicandogli la propria nomina ed
invitandolo a pagare, da allora innanzi, il canone direttamente ad esso custode,
mediante versamento dei relativi importi maturandi sul libretto intestato alla
procedura[51].
È bene anche che, contestualmente, il custode controlli se al canone
contrattuale sono stati regolarmente applicati, di anno in anno, gli aumenti da
rivalutazione Istat; ove ciò non fosse stato, dovrà procedere anche in tal
senso, o comunque ricordarsi di farlo alla successiva maturazione del diritto
contrattuale di adeguamento.
Ciò
detto con riferimento alla posizione del terzo conduttore, rimane chiaro che gli
eventuali canoni che questi abbia pagato al locatore esecutato, dopo la
trascrizione del pignoramento ma prima della effettiva conoscenza da parte del
terzo della esistenza del vincolo pignoratizio, dovrebbero essere versati al
custode direttamente dall’esecutato. Ma è evidente che un debitore esecutato,
il quale non ha da rischiare sul piano patrimoniale nulla di più di quanto già
sta subendo con l’espropriazione dei propri beni, sarà assai scarsamente
motivato dal consegnare al custode le somme già percette, a meno che non si
ritengano applicabili alla fattispecie le ipotesi di reato previste dagli artt.
334 e 335 c.p. (azionabile ad iniziativa del custode, in danno
dell’esecutato), per la sottrazione di beni sottoposti a pignoramento.
Se
invece il terzo non paga i canoni (o le spese condominiali), il custode,
necessariamente assistito da legale, può intimare giudizialmente lo sfratto per
morosità, eventualmente con contestuale ingiunzione di pagamento per tutte le
somme dovute e non versate, con l’attenzione - dettata dai tempi lunghi che
reggono alcune esecuzioni - che i crediti derivanti da canoni di locazione si
prescrivono in cinque anni (art. 2948 c.c.) e quelli derivanti da spese
condominiali in due anni (art. 6, u.c., della legge n. 841 del 1973), cosicchè
il custode appena nominato farà comunque bene ad inviare immediatamente al
terzo conduttore una diffida in raccomandata a.r., a scopo interruttivo di ogni
prescrizione.
Nel
caso ancora in cui il terzo conduttore non sia inadempiente e paghi regolarmente
i canoni e le spese condominiali, occorrerà che il custode faccia dichiarare
giudizialmente quando il contratto avrà (o ha avuto) la prossima scadenza
contrattuale, azionando lo strumento processuale tipico ai fini di tale
accertamento, e cioè il procedimento per la convalida della licenza per finita
locazione, che fornirà al custode il titolo giudiziale da passare in
executivis alla data che sarà fissata dal giudice adìto. Così facendo, si
offre al mercato dei possibili acquirenti un elemento di certezza in ordine alla
data di esaurimento del diritto del terzo alla occupazione; e nel caso in cui la
data fissata per l’inizio della esecuzione per rilascio preceda quella della
vendita nella procedura espropriativa immobiliare, il custode potrà iniziare
egli stesso le operazioni di rilascio coattivo, ed arrivare alla vendita ad
immobile già liberato o comunque in corso di liberazione. Tale iniziativa si
rivela soprattutto utile, se non necessaria, quando un determinato bene
pignorato non incontri interessamenti nel pubblico e rimanga invenduto proprio
in virtù della prolungata occupazione titolata, suscettibile di disincentivare
l’interesse all’acquisto.
Un
aspetto importante del rapporto fra locatore, normalmente impersonato dal
custode nominato dal G.E. in surroga al debitore esecutato, e conduttore di un
bene immobile pignorato, riguarda la superfluità dell’invio della formale
disdetta dal contratto di locazione in corso: è concordemente riconosciuto in
giurisprudenza[52]
che “la tacita rinnovazione, dopo il
pignoramento, del contratto di locazione già precedentemente in corso è
inefficace nei confronti del creditore e dell’acquirente dell’immobile
pignorato, ai sensi dell’art. 560 c.p.c.”[53].
Ed ancora: “nell’ipotesi di omessa
comunicazione, nel termine previsto dall’art. 3 della l. 392 del 1978, della
disdetta dalla locazione di un immobile assoggettato a pignoramento, non è
configurabile alcuna rinnovazione tacita opponibile all’aggiudicatario, in
mancanza di formale autorizzazione del giudice dell’esecuzione alla
prosecuzione del rapporto locatizio alla sua scadenza naturale, in quanto tale
comportamento omissivo ha contenuto negoziale e non può essere produttivo di
effetti giuridici dopo la trascrizione del pignoramento, se non con la predetta
autorizzazione”[54].
La citata giurisprudenza di merito ha avuto anche il vaglio, e l’adesione,
della Corte Suprema: “la rinnovazione
tacita della locazione integra il perfezionarsi di un nuovo negozio giuridico
bilaterale, sicchè ove trattisi di immobile sottoposto a sequestro giudiziario
è necessaria l’autorizzazione del giudice in forza del combinato disposto
degli artt. 560, co. 2, e 676 c.p.c.”[55].
L’espressa
autorizzazione del G.E., anche per la sola rinnovazione tacita di un contratto
di affitto, è necessaria anche nel caso in cui il contratto sia agrario, e goda
quindi della speciale disciplina dettata dall'art. 41 della legge n. 203 del
1982, relativa ai contratti ultranovennali di affitto di fondi rustici a
coltivatore diretto, dei quali stabilisce la validità e l'efficacia anche nei
confronti dei terzi, pur se stipulati in forma verbale e non trascritti (così
modificando la precedente disciplina, costituita dagli artt. 1350, n. 8, e 2643,
n. 8, c.c., secondo la quale tutti i contratti di locazione immobiliari
ultranovennali - quindi anche quelli agrari - debbono farsi per atto pubblico o
scrittura privata, sotto pena di nullità), poichè tale disciplina speciale non
è in ogni caso incompatibile con altre norme anteriori quali quelle di cui agli
artt. 2923 c.c. e 560 c.p.c., rispetto alle quali non costituisce deroga[56].
Il
(nuovo) contratto di locazione del bene pignorato, stipulato dal custode con
l’autorizzazione del G.E. ex art. 560, co. 2, c.p.c., ha una validità ed efficacia destinata
a cessare automaticamente con la vendita forzata del bene in sede di procedura
espropriativa, trattandosi di una mera attività gestionale del bene, e non è
opponibile all’acquirente; il che rende peraltro inapplicabile il combinato
disposto degli artt. 7 e 41 della legge n. 392 del 1978 (secondo cui è nulla la
clausola di risoluzione del contratto di locazione in caso di alienazione del
bene locato) e perfettamente valida la clausola con la quale il custode ed il
conduttore espressamente pattuiscano la risoluzione della locazione per effetto
della vendita forzata dell'immobile[57].
Comunque,
vuoi che il terzo sia conduttore in forza di un nuovo contratto di locazione
stipulato con il custode ed autorizzato dal giudice vuoi che la sua posizione
contrattuale tragga origine e legittimazione da un contratto pregresso
opponibile alla procedura espropriativa, al conduttore di un immobile oggetto di
espropriazione forzata è sottratta la possibilità di invocare in proprio
favore il diritto di prelazione in sede di vendita coattiva. In tal senso si è
espressa la giurisprudenza[58],
formatasi in ambito concorsuale, che ha motivato l’esclusione richiamando
l’incompatibilità dell’esercizio della prelazione con i superiori fini
pubblicistici della procedura espropriativa (in sede concorsuale o meno),
caratterizzata dalla non volontarietà della vendita.
4.3. L’occupazione del
compendio da parte di terzi privi di titolo opponibile; le azioni del legale del
custode.
In
apertura di questo paragrafo, vien spontaneo convenire con chi[59]
ha sottolineato che la disciplina codicistica che regola i rapporti di locazione
dell’immobile pignorato è insufficiente e lacunosa. Al generale principio emptio
non tollit locatum, di cui all’art. 1599 c.c., non si accompagna una
disciplina particolare dettata per la molteplicità di casi che, tutt’altro
che infrequentemente, si pongono nell’ambito delle procedure espropriative
immobiliari, cosicchè all’operatore del diritto non rimane che interpretare
le (comunque poche) norme di riferimento.
In
via preliminare, per quanto attiene alla possibilità per l’esecutato di
stipulare contratti di locazione in corso di esecuzione, fa divieto l’art.
2913 c.c., il quale sanziona con l’inefficacia gli atti di disposizione del
bene pignorato posti in essere dall’esecutato dopo il pignoramento dello
stesso[60];
a tale norma fa il paio l’art. 560 c.p.c., il quale prescrive che al debitore
ed al terzo nominato custode “è fatto
divieto di dare in locazione l'immobile pignorato se non sono autorizzati dal
giudice dell'esecuzione”. Nel caso quindi in cui un debitore esecutato
avesse proceduto a locare il bene pignorato in spregio alle suddette norme,
l’occupazione da parte del terzo sarebbe totalmente ed irrimediabilmente
abusiva.
Più
problematica è la disamina della normativa di riferimento non tanto per il caso
delle nuove locazioni che potrebbero essere stipulate dopo il pignoramento,
quanto per quelle già stipulate dal locatore-esecutato in periodo antecedente
il pignoramento. In tal caso viene in primo piano l’art. 2923, co. 1, c.c.,
che sanziona con l’inopponibilità il contratto di locazione con il terzo
occupante che non sia stato registrato ovvero che sia stato registrato dopo la
trascrizione del pignoramento ovvero ancora che, trattandosi di locazione
ultranovennale, non sia stato trascritto[61].
È da segnalare che, nella prospettiva de
jure condendo, si sta proponendo di estendere la inopponibilità anche ai
contratti di locazione che siano stati stipulati e registrati nell’anno
antecedente il pignoramento, considerati - per il solo fatto di essere stati
stipulati in tale arco temporale - contratti in frode ai creditori[62];
si è infatti rilevato, nella pratica delle esecuzioni immobiliari, che spesso
le locazioni a terzi concluse dal debitore esecutato hanno carattere
fraudolento, essendo mirate a creare ostacolo alla vendita, con disincentivo del
pubblico all’acquisto e rinvio sine die del
momento della vendita forzata e della liberazione del compendio[63].
Se
il contratto di locazione è inopponibile, ovvero se un contratto scritto del
tutto manca (trattandosi di occupazione sine
titulo), va allora innanzitutto valutato se le norme dettate all’art. 2923
c.c. (nel testo riferite all’acquirente), possano o meno interpretarsi come
applicabili anche al custode[64].
A
me pare che una siffatta interpretazione estensiva possa dirsi praticabile, in
virtù della coincidente qualità di figura terza ricoperta, nei rapporti con
l’occupante, dall’acquirente e dal custode; in entrambi i casi, la tutela
normativa viene invocata a risoluzione di un rapporto obbligatorio che lega, da
una parte, l’occupante quale originario contraente e, dall’altra, un terzo
subentrato nella posizione contrattuale dell’altro contraente (l’originario
locatore) a seguito del medesimo evento: il pignoramento del bene e la
successione nella amministrazione e nella gestione dello stesso. Inoltre,
estendere analogicamente le facoltà dell’acquirente al custode consente di
anticipare i tempi per l’accertamento degli esatti termini di efficacia del
contratto di locazione gravante sul bene espropriato, con il non secondario
effetto di vanificare le frodi in danno dei creditori e dell’acquirente, che
fanno riflettere a parte della dottrina[65],
nella prospettiva de iure condendo,
sulla opportunità della stessa sopravvivenza nel sistema della norma di cui
all’art. 2923, co. 4, c.c.. La proposta di legge Parrelli, già richiamata, si
incarica peraltro di dare definitiva e certa risoluzione, in senso favorevole,
al dubbio interpretativo, proponendo come nuova formulazione dell’art. 569
c.p.c. il seguente testo: “il titolo del
diritto personale eventualmente affermato da terzi nel godimento dell’immobile
pignorato è assoggettato, nei confronti della procedura esecutiva, agli stessi
limiti di opponibilità stabiliti dall’art. 2923 del codice civile nei
confronti dell’acquirente, e il giudice, alla prima udienza, accertata la
inopponibilità del titolo alla procedura esecutiva, può ordinare al terzo
l’immediato rilascio dell’immobile”.
Se,
come riteniamo, la richiamata disciplina è applicabile anche al custode[66],
nei rapporti con il conduttore, assume rilevanza distinguere se, per gli effetti
della previsione dell’art. 2923, co. 4, c.c., la detenzione del terzo sia o
meno iniziata in epoca anteriore al pignoramento ovvero, rectius,
se il terzo sia - o meno - in grado di provare, pur in assenza della
registrazione ante pignoramento del contratto di locazione, che la propria
detenzione del bene oggetto di espropriazione immobiliare era di fatto iniziata
in epoca antecedente il pignoramento. Se è documentato (dalle ricevute di
pagamento dei canoni, dall’intestazione delle utenze, dal certificato di
residenza, o da altro) che il terzo detiene il bene sin dal periodo antecedente
il pignoramento, ai sensi del suddetto art. 2923, co. 4, c.c., il custode “non
è tenuto a rispettare la locazione che per la durata corrispondente a quella
stabilita per le locazioni a tempo indeterminato”[67].
E sarà tenuto a rispettarla per tale durata nei soli confronti del terzo
conduttore, mentre nulla potrà comunque opporgli l’eventuale subconduttore[68].
La detenzione in parola è comunque obbligatoriamente riferita ad un rapporto di
locazione: non può quindi trattarsi di una detenzione sine titulo od avente titolo diverso dalla locazione, così come non
potrebbe trovare titolo in un contratto di locazione sopravvenuto al
pignoramento, che sarebbe comunque insuscettibile di sanare la precedente
abusiva situazione di fatto[69].
Ciò
significa che se il contratto (verbale o scritto, ma non registrato o registrato
solamente dopo il pignoramento) venne stipulato in periodo ante
legge sull’equo canone, esso si deve comunque intendere scaduto dopo un anno
(ai sensi dell’art. 1574, n. 1, c.c.) dal documentato inizio del rapporto
locativo; se invece esso venne stipulato nel periodo di vigenza della legge
sull’equo canone, si deve intendere scaduto dopo quattro anni (ai sensi
dell’art. 1 della legge n. 392 del 1978) dal suo inizio[70]; egualmente si intenderà
risolto dopo quattro anni qualora dovesse essere stato stipulato in periodo di
applicazione della legge sui c.d. patti in deroga (legge n. 359 dell’8 agosto
1992), sempre che si ritenga che l’avvenuto pignoramento sia circostanza
equiparabile a quelle tipiche per le quali - sole - il legislatore ha previsto
la possibilità di risoluzione del contratto alla prima scadenza (cioè dopo i
primi quattro anni, con mancata rinnovazione per altri quattro anni), e che sono
quelle previste dagli artt. 29 e 59 della legge sull’equo canone, così come
richiamati dall’art. 11, co. 2, della legge n. 359 del 1992.
Oggi,
dopo l’entrata in vigore della nuova disciplina in materia di locazioni (legge
n. 431 del 9 dicembre 1998) ed in attesa che la giurisprudenza venga chiamata a
pronunciarsi sul punto, assistiamo in dottrina al dibattito, recentemente
accesosi proprio sulle pagine di questa Rivista, sulla prevalenza dell’idea
che il detentore possa - alla luce della nuova disciplina - opporre il contratto
di locazione per una durata di, rispettivamente, quattro anni (rinnovabili di
altri quattro, per i contratti a canone libero) ovvero tre anni (prorogabili di
altri due, per i contratti a canone vincolato)[71],
oppure dell’idea che riprenda oggi vigore il rispetto della locazione ante
pignoramento (la cui detenzione venga comunque provata) per la sola durata di un
anno prevista dall’art. 1574 c.c.[72].
In favore della seconda tesi, che appare quindi preferibile, è stato
persuasivamente osservato in dottrina[73]
che, facendo nel concreto l’ipotesi di un contratto non registrato ma con
detenzione provata a far data da periodo di poco precedente il pignoramento (che
si gioverebbe, volendo applicare la prima tesi, di un termine di opponibilità
di almeno quattro anni) e confrontandola con l’ipotesi di un contratto invece
regolarmente registrato qualche anno prima del pignoramento (cui si
applicherebbe un periodo di efficacia pari solamente alla durata contrattuale
residua), si verrebbe ad offrire una maggiore - e ingiustificata - tutela, in
termini di opponibilità a terzi, ad un contratto che il conduttore (nella
maggior parte dei casi, peraltro, di dubbia buona fede) non è in grado di
documentare, rispetto ad un altro contratto che invece il conduttore è in grado
di documentare e rendere opponibile con l’effettuata registrazione.
Si segnala anche
che, essendo quanto osservato sinora relativo alla risoluzione di conflitti fra
il custode ed occupanti in forza di contratti di locazione (ad uso abitativo)
non opponibili, sfugge alla esposta disciplina il diverso titolo che il terzo
possa reclamare di vantare in forza del provvedimento di assegnazione del
domicilio coniugale al coniuge (non comproprietario) dell’esecutato, là dove
il domicilio coniugale sia stato successivamente oggetto di espropriazione
immobiliare. In tal caso, la giurisprudenza di legittimità[74]
ha chiarito che la regola posta dall’art. 1599, co. 3, c.c. costituisce una
disposizione eccezionale dettata con specifico riferimento al contratto di
locazione, che non può trovare applicazione analogica in caso di separazione
personale o di divorzio e di assegnazione della casa coniugale ad uno dei
coniugi, qualora il relativo provvedimento non sia stato trascritto. È allora
evidente che nemmeno può soccorrere, in applicazione analogica, la disciplina
(speciale rispetto a quella dell’art. 1599 c.c.) dettata dall’art. 2923
c.c., cosicchè l’eventuale conflitto fra, da una parte, il coniuge titolare
del diritto di abitazione in forza del provvedimento di assegnazione della casa
coniugale e, dall’altra, il custode giudiziario incaricato della liberazione
di quel bene, deve essere risolto esclusivamente facendo appello al principio
generale affermato dall’art. 2644 c.c., con conseguente prevalenza dell’un
diritto sull’altro quale titolo trascritto anteriormente[75].
Quanto
detto sinora si riferisce ai soli contratti di locazione abitativi, e non a
quelli commerciali, per i quali peraltro la mancata registrazione del contratto
è evento ben più raro, se non del tutto eccezionale. Ove comunque così fosse,
la giurisprudenza di merito oscilla fra il considerare il contratto di locazione
di immobile ad uso diverso dall'abitazione, non trascritto nè registrato ma di
data certa anteriore al pignoramento immobiliare, opponibile all'acquirente (e
quindi anche al custode) nel limite di un novennio decorrente dall'inizio della
locazione, in forza dell'art. 2923, co. 2, c.c.[76],
ovvero di dodici anni dall’inizio del contratto, per effetto delle
disposizioni della legge n. 392 del 1978[77].
In ogni caso,
tornando ad esaminare il caso di occupazione derivante da un preteso contratto
di locazione ad uso abitativo, anche qualora la detenzione - pur in assenza di
contratto opponibile - possa essere con certezza retrodatata al periodo
antecedente il pignoramento, bisogna tenere presente che l’art. 2923, co. 5,
c.c. prevede che “se nel contratto di
locazione è convenuto che esso possa risolversi in caso di alienazione,
l’acquirente (nel nostro caso, il custode) può intimare licenza al conduttore secondo le disposizioni dell’art.
1603 c.c.”. La lettura di tale norma non può tuttavia sfuggire al
confronto con l’art. 7 della legge sull’equo canone, che aveva sanzionato
con la nullità la clausola di risoluzione pattizia in caso di vendita
dell’immobile; tale confronto ha portato buona parte della dottrina ad
addirittura sostenere che il comma 5 dell’art. 2923 c.c. fosse stato
implicitamente abrogato (o comunque fortemente ridimensionato) dalla legge n.
392 del 1978[78],
mentre la giurisprudenza ha comunque ribadito la validità della norma
civilistica, non intaccata dalla legge suddetta, destinata a non avere
applicazione nell’orbita esecutiva[79].
Ciò nonostante, non può apparire dubbio che se siffatta clausola è presente
in un contratto stipulato in regime di vigenza della legge sull’equo canone,
essa è radicalmente nulla; mentre nulla non è, ed anzi perfettamente lecita ed
operante, se il contratto che la contiene non è assoggettato a tale legge[80].
Vi
è poi l’ipotesi del tutto particolare prevista dal comma 3 dell’art. 2923
c.c., il quale attribuisce il diritto di “non
rispettare la locazione qualora il prezzo convenuto sia inferiore di un terzo al
giusto prezzo o a quello risultante da precedenti locazioni”; sul punto la
giurisprudenza ha precisato che “nel
caso di locazione di beni pignorati anteriore al pignoramento, l’adeguatezza
del prezzo, richiesta dall’art. 2923 c.c. per l’estensione alla vendita
forzata del principio emptio non tollit locatum, va valutata con riferimento non
all’epoca della stipulazione del contratto, ovvero dell’assegnazione del
bene, ma dalla data del pignoramento, in cui si cristallizza la situazione
giuridica opponibile ai creditori pignoranti ed ai terzi che dall’esecuzione
forzata acquisiscono diritti”[81].
Si
è discusso e si discute di che cosa debba intendersi per “giusto prezzo”,
ai sensi della disposizione in esame, anche alla luce del superamento della
disciplina dell’equo canone, soppiantata da nuove discipline della materia
(quella che ha previsto i c.d. “patti in deroga” prima, quella dettata dalla
legge n. 431 del 1998 poi) che hanno sostanzialmente liberalizzato l’importo
del canone, non più ancorato ad un concetto di “equità” oggettivamente
parametrabile. Non è dubbio nè dubitabile che, finchè la disciplina
dell’“equo canone” è stata in vigore, il “giusto prezzo” coincidesse
con il “canone equo”[82],
mentre oggi - nella vigenza (dal 1° gennaio 1999) della legge n. 431 del 1998 -
si ritiene per lo più che il prezzo divenga vile se è inferiore di un terzo al
c.d. “canone vincolato” (cioè a quel canone applicabile in base alla
convenzione locale tra organizzazioni dei proprietari e degli inquilini, ex
art. 4 della suddetta legge) ovvero ai corrispettivi risultanti da
precedenti locazioni[83].
Rimane
invece discusso se la scelta fra “giusto prezzo” o il corrispettivo
risultante da precedenti locazioni, come parametro di riferimento per potere non
rispettare la locazione, spetti all’acquirente ovvero, insindacabilmente, al
giudice: la Cassazione ha stabilito che la scelta spetta discrezionalmente al
giudice, la cui scelta è insindacabile in sede di legittimità[84], mentre di diverso avviso
è la dottrina, che attribuisce la facoltà di scelta all’acquirente[85] (figura al quale, come
detto, accostiamo analogicamente il custode giudiziario), sebbene vi sia chi
conclude per la concorrenza dei due criteri, nel senso che se da locazioni
precedenti risulti un corrispettivo superiore a quello legale, il giudice nel
fissare il iustum pretium dovrà
discostarsi dal canone imposto per legge[86].
La
particolarità della previsione normativa del comma 3 dell’art 2923 c.c.
risiede nel fatto che esso fornisce uno strumento per scardinare una locazione
che sarebbe altrimenti pienamente opponibile, in quanto ben potrebbe essere
stata stipulata e registrata ante pignoramento[87].
Tale facoltà riconosciuta al custode non costituisce comunque una norma
eccezionale, in deroga all'art. 1415, co. 2, c.c., di tal che il custode
mantiene la facoltà di agire nei confronti del conduttore alternativamente
azionando la tutela di cui all'art. 2923, 3º comma, c.c. ovvero quella offerta
dall’art. 1415, co. 2, c.c. , in materia di simulazione[88].
Nel
caso in cui, invece, il terzo non sia in grado di provare documentalmente la sua
detenzione nel periodo ante pignoramento, e comunque anche nel caso in cui, spirati i
termini dettati dall’art. 2923, co. 4, c.c. di cui si è appena detto, il
terzo non abbia provveduto spontaneamente al rilascio, al custode non rimane che
promuovere, con l’assistenza del legale nominatogli dal G.E., le azioni
giudiziali finalizzate al rilascio coattivo.
Ricorrere
all’azione giudiziale significa sostanzialmente, per la necessità di
contenere i tempi della liberazione ancor prima che per conformità di scelta
giuridica, ricorrere alla tutela cautelare, ai sensi degli artt. 700 e 447 bis
c.p.c.. L’esperienza
in tal senso delle custodie e dei rispettivi legali, nel Tribunale di Bologna[89]
e nelle sue sedi distaccate, ha dato esiti positivi, sia in termini di
riconoscimento dei requisiti del fumus
boni iuris e del periculum in mora,
che in termini di contenimento dei tempi complessivi di rilascio.
Con il ricorso
cautelare ed il conseguente giudizio di merito, il custode chiede al giudice di
emettere un provvedimento giudiziale che, ai sensi degli artt. 560 c.p.c. e 2923
c.c., accerti e dichiari la inopponibilità della locazione in quanto non
autorizzata dal G.E. e comunque poichè priva di data certa anteriore al
pignoramento, e che ordini all’occupante il rilascio in via d’urgenza del
compendio pignorato, essendo la persistenza della situazione di fatto
oggettivamente lesiva della garanzia patrimoniale della massa dei creditori,
alla quale vengono sottratti gli introiti dovuti per l’occupazione
dell’immobile, ma anche e soprattutto essendo l’occupazione del terzo non
titolato diretta ad impedire ovvero rendere estremamente difficoltosa la vendita
forzosa dell’immobile, essendo notoria la scarsa appetibilità commerciale
degli immobili occupati e, comunque, essendo tale occupazione quanto meno idonea
a deprezzare sensibilmente il compendio.
Esaminando
il requisito del fumus, l’occupazione da parte di un terzo privo di titolo è
inopponibile al custode in quanto, ai sensi dell’art. 2923, co. 1, c.c.,
diretta applicazione del generale disposto dell’art. 2704 c.c., “le
locazioni consentite da chi ha subito l’espropriazione sono opponibili
all’acquirente [soggetto terzo cui la figura del custode giudiziale è
equiparabile] se hanno data certa anteriore al pignoramento”. Ai fini della
opponibilità, occorre necessariamente, quindi, che il contratto sia stato
registrato in epoca antecedente la trascrizione del pignoramento. In mancanza
della registrazione è irrilevante, ai fini della prova della effettiva
stipulazione del contratto ante pignoramento,
ogni altra circostanza che il conduttorre volesse addurre: la registrazione non
può essere surrogata nemmeno dalla prova del pagamento del canone[90].
Inoltre,
la circostanza della occupazione inopponibile integra ulteriormente la
violazione dell’art. 560 c.p.c., che dispone che “al
debitore ... è fatto divieto di dare in locazione l’immobile pignorato, se
non autorizzato dal giudice dell’esecuzione”. Tali motivi rendono
inopponibile al custode l’eventuale contratto opposto dall’occupante alla
custodia quale preteso titolo per l’occupazione.
Sotto
il profilo del periculum, appare
indubbio che la circostanza della occupazione inopponibile e non autorizzata e,
quindi, abusiva, possieda i requisiti della imminenza e della irreparabilità
del pregiudizio, necessari per la concessione del provvedimento d’urgenza,
finalizzato alla immediata liberazione dell’immobile pignorato. È infatti un
dato addirittura di senso comune, che richiama il notorio, che la vendita
forzosa di un immobile occupato, a maggior ragione senza titolo, appare di
difficile realizzazione, essendo notoria la scarsa commerciabilità degli
immobili comunque occupati.
Tale
considerazione è stata fatta propria da un orientamento giurisprudenziale
consolidato del Tribunale di Bologna: in particolare, il Tribunale ha sancito
che “la presenza dell’occupante
nell’immobile oggetto di pignoramento costituisce un elemento di forte
pregiudizio alle ragioni della procedura esecutiva, in quanto rende
ragionevolmente diffidenti i possibili acquirenti e, molto probabilmente, li
dissuade dall’acquisto”[91].
In altra occasione è stato analogamente riconosciuto “il periculum in mora nel fatto che la presenza della resistente e del
suo nucleo familiare nell’immobile costituisca un elemento di forte
pregiudizio alle ragioni della procedura esecutiva, in quanto idoneo a
costituire un deterrente per gli interessati all’acquisto”[92].
Quest’ultima pronuncia cautelare è stata poi confermata dal Tribunale in
composizione collegiale, in sede di reclamo, il quale ha ribadito la necessità, per la opponibilità ai terzi, della
trascrizione del provvedimento di assegnazione della casa coniugale, ed ha
aggiunto, in merito alla sussistenza del requisito del periculum che “la
circostanza che gli esecutati siano rimasti nella detenzione dell’immobile per
nove anni dall’inizio della procedura non esclude la configurabilità,
all’attualità, di un pericolo di danno imminente. Infatti lo stesso è venuto
a maturare, progressivamente, laddove sono rimasti infruttuosi i precedenti
tentativi di alienare l’immobile occupato, posto il notorio effetto deterrente
negli aspiranti acquirenti provocato dalla presenza di un occupante, ed in
considerazione degli oneri connessi, tra l’altro, all’inutile protrarsi, per
tale motivo, della procedura esecutiva”[93].
Ancora
in composizione collegiale, in reiezione del reclamo proposto contro un
provvedimento cautelare ottenuto da un custode per la liberazione del compendio
illegittimamente occupato, il Tribunale di Bologna ha ritenuto che “il
mantenimento dei terzi estranei all’interno degli immobili implica di per sè
un pregiudizio a carico dei creditori esecutanti, i quali più facilmente
potrebbero realizzare la vendita giudiziale cui essi tendono, una volta in grado
di presentare come liberi i beni: invero, a prescindere dalla remissività degli
occupanti, già la semplice constatazione di fatto circa l’occupazione in
esame finisce - con elevatissima probabilità - per scoraggiare i potenziali
compratori”[94].
Anche
il Pretore di Bologna ha a sua volta osservato che “è
fatto notorio la estrema difficoltà di reperire acquirenti per immobili
occupati ad un prezzo pari a quello realizzabile con l’immobile libero”[95].
Analoga motivazione è stata espressa in altra occasione dal Pretore di Bologna,
il quale, in accoglimento della domanda cautelare ha rilevato che “è
fatto notorio la estrema difficoltà a reperire acquirenti per immobili occupati
ad un prezzo vicino a quello realizzabile per un immobile libero ed in quanto
sarebbe arduo per il ricorrente ottenere il risarcimento del danno provocato
dalla illegittima occupazione”[96].
Ulteriormente, sempre motivando l’accoglimento della domanda cautelare: “certamente
la condizione di immobile sottoposto a vincolo locatizio fa diminuire la sua
richiesta sul mercato immobiliare, di talchè sussiste un periculum in mora
concretizzantesi nel dilazionare la vendita, ovvero nell’accettare un prezzo
inferiore”[97].
Infine,
in un caso davvero clamoroso di contratto concluso in frode ai creditori
(trascrizione, dopo il pignoramento, della costituzione di un fondo patrimoniale
nonchè di un contratto di locazione della durata di trent’anni in favore
della madre dell’esecutato), il Pretore “quanto
al periculum in mora osserva come esso non discende tanto dal pregiudizio
economico derivante dal diverso prezzo di vendita tra l’immobile occupato e
quello libero, pregiudizio in astratto risarcibile, quanto dalla scarsa
appetibilità dell’immobile occupato per un periodo così lungo, al punto tale
da renderlo pressocchè inalienabile e, comunque, dall’insufficiente ricavato
che conseguirebbe dalla vendita del bene occupato così da impedire ai creditori
- per l’assenza di altri beni - di recuperare le somme loro dovute”[98].
Altra
decisione di merito ha sancito che, ai fini della sussistenza del periculum
che legittima l’emissione del provvedimento cautelare, “l’eventuale inerzia verificatasi in passato non riguarda la fase
attuale conseguente alla nomina del custode, e comunque non fa venir meno le
pressanti esigenze che sono alla base del ricorso; dette esigenze vanno
individuate nella difficoltà di trovare acquirenti in un immobile occupato, per
di più senza titolo”[99].
I
principi enunciati nelle decisioni suddette sono peraltro condivisi dalla
giurisprudenza in materia fallimentare, anche dello stesso Tribunale di Bologna,
il quale in particolare ha sancito che “la
mera patrimonialità del danno non esclude la sussistenza del requisito del
periculum in mora, invero integrato a) dalla concreta possibilità che il
perdurare indefinito della situazione di fatto possa far desistere eventuali
interessati dall’acquisto dell’immobile, b) dall’entità notevole del
danno, quale evidenziata dai valori periziati, e dalla conseguente probabilità
che la resistente non sia in grado di risarcirlo; ritenuto ulteriormente che la
tutela anticipatoria richiesta appare l’unica in grado di reintegrare il
fallimento nella disponibilità dei beni allo stato detenuti senza titolo alcuno
con comportamento idoneo a precludere e, comunque, a rendere difficoltosa
l’attività liquidatoria della procedura”[100].
I
provvedimenti cautelari sopra menzionati hanno affrontato anche la questione
della legittimazione del custode a proporre l’azione cautelare, essendo stato
in alcuni casi eccepito che titolare dell’azione cautelare sarebbe solo il
creditore procedente, avendo il custode il mero compito di “conservazione
e amministrazione dei beni pignorati” (art. 65 c.p.c.). L’eccezione è
stata respinta “ritenuto che il custode,
in quanto tale, sia legittimato a proporre domanda di rilascio dell’immobile
pignorato contro l’occupante senza titolo, nella sua qualità di titolare, ai
sensi dell’art. 560 c.p.c., dell’amministrazione dell’immobile pignorato,
residuando al proprietario esecutato la legittimazione ad agire quale locatore
solamente con riguardo al periodo antecedente al pignoramento”[101].
Ciò
detto con riferimento alla fase cautelare, nel merito il custode potrà poi
anche introdurre la domanda di condanna dell’occupante sine
titulo al pagamento, in favore della custodia, delle somme dovute a titolo
di indennità di occupazione, per tutto il periodo in cui l’occupazione si sia
protratta senza che la custodia ne abbia ricavato somme a titolo d’affittanza.
Inoltre, secondo quanto è stato recentemente affermato dalla Cassazione[102],
il custode è altresì legittimato ad agire in giudizio per ottenere la condanna
del conduttore al risarcimento del danno da ritardata restituzione e perciò
anche la eventuale penale al riguardo stabilita dal contratto.
In
alternativa all’azione cautelare, il custode potrebbe pur sempre promuovere
una causa di revocatoria ordinaria ex art. 2901 c.c., diretta a far accertare l’inefficacia degli
atti di disposizione del patrimonio del debitore esecutato che rechino
pregiudizio alle ragioni dei creditori. Al di là dei tempi lunghissimi che un
tale strumento processuale comporta, e che sono incompatibili con le esigenze di
mettere velocemente in vendita il bene non più occupato o comunque con una
situazione occupazionale a data di rilascio certa, è discutibile se tale azione
potrebbe essere promossa da un custode, essendo prevista ad istanza del
creditore dall’art. 2901 c.c., oppure se un mandato congiunto dei creditori
comparsi in udienza potrebbe sanare l’eventuale difetto di legittimazione
attiva del custode (meglio sarebbe che i creditori comparsi in udienza
formalizzassero loro a verbale la richiesta di nomina di un legale da parte del
G.E. o che, ancor meglio, l’azione stessa venisse direttamente promossa da un
creditore collocato nell’esecuzione). Comunque, è stato da tempo superato il
dato testuale normativo dell’art. 2901 c.c., che parrebbe limitare
l’esperibilità dell’azione ai soli “atti di disposizione” del
patrimonio, fra i quali non andrebbero ricompresi, a rigore, le concessioni del
bene in locazione od affitto. La giurisprudenza, recependo le osservazioni della
dottrina, ha chiarito sul punto che “soggetti
dell’azione revocatoria sono non soltanto gli atti alienazione, e cioè gli
atti traslativi e quelli costitutivi di garanzie reali, ma anche gli atti
relativi a dismissioni di diritti e ad assunzione di obblighi: fra questi ultimi
devono essere ricompresi i contratti di locazione o di affitto ultranovennali, i
quali, a norma dell’art. 1572, co. 1, c.c., costituiscono atti eccedenti
l’ordinaria amministrazione e, secondo un’autorevole dottrina, hanno
un’intrinseca attitudine a produrre modificazioni sostanziali, giuridiche ed
economiche, della situazione patrimoniale del debitore”[103].
Fra
le varie opzioni processuali possibili, non mi pare che possa dirsi praticabile
l’estensione all’occupante del provvedimento di non autorizzazione ex
art. 559 c.p.c., che il G.E. emette, di norma, a carico dell’esecutato non
collaborativo. Tale strumento, che pure viene adottato come regola da un’altra
prassi virtuosa[104],
non fa i conti con il fatto che la fonte normativa che viene utilizzata
(l’art. 559 c.p.c.) attribuisce al G.E. poteri autoritativi nei soli confronti
dell’esecutato, e non dei terzi, foss’anche senza titolo. Nei confronti di
costoro il G.E. è privo di poteri diretti, se non nell’unico caso
specificamente regolamentato dal codice: al momento della emissione del decreto
di trasferimento. È per questo motivo che ritengo incongruo richiamare, a
sostegno dell’applicazione analogica al terzo del provvedimento ex
art. 559 c.p.c., la giurisprudenza formatasi in materia di decreto di
trasferimento[105].
Ed in effetti tale soluzione, che inizialmente era stata praticata innanzi al
Tribunale di Bologna, aveva immediatamente incontrato giurisprudenza contraria,
che - nell’ambito di un processo di opposizione alla esecuzione promosso da un
terzo occupante contro un siffatto provvedimento - aveva immediatamente sospeso
l’esecuzione “attesa la discutibile
natura di titolo esecutivo (nei confronti del terzo, è specificato)
del provvedimento ex art. 559 c.p.c. assunto dal giudice dell’esecuzione”[106].
[1] Lo scritto riprende la relazione tenuta al convegno Le procedure esecutive immobiliari: evoluzione in atto, Bellaria-Igea Marina, 20 marzo 1999, ed ulteriori lavori sviluppati in occasione dei corsi di formazione dei custodi giudiziari nelle procedure espropriative immobiliari innanzi al Tribunale di Bologna. L’autore è raggiungibile, per confronto con altre prassi, al seguente indirizzo di posta elettronica: giovanni.berti@studiolegaleberti.it
[2] Si tratta in buona sostanza di un’applicazione della l. 302/1998 intermedia fra quella adottata dal Tribunale di Prato, che delega interamente la procedura ai notai, e ciò addirittura sin da prima dell’entrata in vigore della legge, e quella del Tribunale di Monza, che invece nulla delega ai notai.
[3] Alla fine degli anni ottanta, il 73,1% dei tribunali italiani non utilizzava mai la vendita senza incanto, il 25% la utilizzava raramente, e solo l'1,8% vi faceva abitualmente ricorso: cfr. SALETTI, La prassi di fronte alle norme e al sistema, in questa Rivista, 2001, 487 ss., il quale cita come fonte dei dati: La prassi dei tribunali italiani in materia di vendita immobiliare nell'ambito dell'esecuzione immobiliare, in Atti del Convegno su La vendita immobiliare nell'ambito delle procedure esecutive e concorsuali, I, Cologno Monzese, 1989, 211. Per la elaborazione critica di tali dati, si veda RICCI, Aspetti statistico-economici del mercato delle procedure immobiliari coattive, in Riv. Dir. Proc. 1990, 517 ss..
[4] La prima esposizione delle linee fondamentali del progetto la si trova proprio nell'articolo, a firma Vito Resta, Espropri immobiliari rapidi anche senza delega ai notai, pubblicato sul Sole-24 Ore il 7 luglio 1993.
[5] Per una più completa disamina dei dati di partenza così come per una articolata analisi delle deficienze normative, organizzative e strutturali del tradizionale sistema di vendita, anche in confronto con le vendite concorrenziali del libero mercato, si rimanda agli scritti di LICCARDO, La vendita coattiva tra criticità reali ed interpretazioni evolutive, in Questione Giustizia 1996, 395 ss., L’esecuzione immobiliare: prassi applicative e prospettive di riforma, in Documenti Giustizia 1997, 357 ss., e Il tempo del processo e il tempo del mercante, in Società e Diritto 1997, 133 ss.. ; per l’analisi dettagliata dei dati, aggiornati all’8 gennaio 2001, relativi alla durata media delle esecuzioni bolognesi, con e senza incanto, ed alla incidenza dei relativi costi, si vedano le tabelle pubblicate in calce a LICCARDO, Brevi note sul disegno di legge Parrelli - A.C. 3272/C/XIII, recante “Modifiche al codice di procedura civile in materia di espropriazione forzata immobiliare”, in questa Rivista, 2000, 580 ss., e La ragionevole durata del processo esecutivo: l'esperienza del Tribunale di Bologna negli anni 1996-2001 ed ipotesi di intervento, in questa Rivista, 2001, 566 ss., e le tabelle in calce, che riportano i dati del Tribunale di Bologna aggiornati al 31 agosto 2001. Inoltre, la prassi bolognese è stata presentata nell'opuscolo La nuova prassi delle esecuzioni immobiliari a Bologna: risultati e prospettive di una sperimentazione, edito nel 1997 a cura dell'Associazione Sindacale degli Avvocati di Bologna e dell'Emilia Romagna.
[6] Il sottosegretario alla Gustizia, Michele Vietti, nel presentare il d.d.l., sul punto dell'esecuzione immobiliare, ha dichiarato: "Viene ampliata la possibilità del giudice di utilizzare meglio il custode procedendo ad una vendita più snella e senza l'intervento del notaio. Abbiamo cercato di incentivare le vendite senza incanto, facendo tesoro di alcune esperienze in atto, a legislazione vigente, in Tribunali come quelli di Bologna e Monza" (da Il Sole-24 Ore del 22 dicembre 2001).
[7] Si tratta di una recente innovazione della prassi, là dove, sino a poco tempo addietro, si preferiva comunque far giurare l'esperto in udienza e fargli assumere in tale sede l'incarico, con fissazione di una successiva, seconda, udienza, alla quale poi il compendio sarebbe stato posto in vendita, sulla base della relazione di stima nel frattempo depositata. Anticipando l'assunzione dell'incarico da parte dell'esperto ed il deposito del suo elaborato (entrambe attività che ben possono completarsi senza necessità di svolgersi in udienza e senza la partecipazione delle parti) ad un momento precedente lo svolgimento dell'udienza di comparizione, si ottiene tuttavia una consistente erosione dei tempi della procedura, con la sostanziale concentrazione in un'unica udienza di tutte le attività prodromiche alla messa in vendita dei beni. Tale concentrazione di attività era già praticata dal Tribunale di Monza, per la cui prassi si possono in analisi vedere gli opuscoli Efficienza nelle vendite immobiliari con le attuali strutture giudiziarie. L'esperienza del Tribunale di Monza, e La prassi del Tribunale di Monza, distribuiti quale materiale di consultazione rispettivamente ai convegni Passato e presente nelle aste giudiziarie, il Tribunale ed il mercato immobiliare, Milano, 13 dicembre 2000, e Le vendite forzate immobiliari e la ragionevole durata del processo esecutivo, Monza, 8 giugno 2001, oltre che MIELE - RODA - FONTANA, Sulle vendite immobiliari nelle esecuzioni e nei fallimenti, in Dir. Fall. 1999, 3, 508 ss., e Modifiche nelle prassi delle vendite immobiliari del Tribunale di Monza, a cura della Commissione di studio sulle procedure esecutive immobiliari, in Fall. 1999, 1392 ss., ed ancora MIELE - RODA - FONTANA, La prassi delle vendite immobiliari nel Tribunale di Monza, in questa Rivista, 2001, 501 ss..
[8] La lettera della legge, art. 569 c.p.c., attribuisce preferenza alla vendita senza incanto, di tal che dovrebbe optarsi per la vendita con incanto solamente nel caso in cui il giudice la ritenga economicamente e commercialmente più redditizia (BUCOLO, Il processo esecutivo ordinario, Padova 1994, 833), dovendo il G.E. motivare la propria pronuncia nella quale invece dispone l’incanto (ANDRIOLI, Commento al Codice di Procedura Civile, III, Napoli 1957, 240); ed autorevolmente si è anche sostenuto che nel silenzio del G.E. sulle modalità, la vendita si deve necessariamente intendere senza incanto (SATTA, Commentario al Codice di Procedura Civile, III, Milano 1965, 362).
[9] Proposta di legge n. 3273-A, presentata il 25 febbraio 1997. Per un primo commento alla stessa, si veda LICCARDO, Brevi note sul disegno di legge Parrelli - A.C. 3272/C/XIII, recante “Modifiche al codice di procedura civile in materia di espropriazione forzata immobiliare”, in questa Rivista, 2000, 580 ss..
[10] Una manifestazione clamorosa di questo clima palustre che intorbidisce il mondo delle aste giudiziarie la si è avuta di recente a Roma, dove nel corso dell'anno 2001 il Presidente del Tribunale, con una decisione senza precedenti, ha sospeso per qualche mese le attività della sezione che si occupa delle esecuzioni immobiliari, ai fini di verifica di tutti i fascicoli in seguito all'arresto di un commesso della sezione accusato di corruzione, peculato e rivelazione di segreti d'ufficio, per aver passato informazioni riservate e per aver fatto sparire qualche fascicolo a vantaggio di sei agenti immobiliari, a loro volta indagati per corruzione (notizia riportata nell'articolo Stop alle esecuzioni: Tribunale-caos, in Professione Avvocato, n. 4/2001, 13).
[11] Articolo così modificato dall'art. 2, co. 76, della l. 448 del 28 dicembre 2001 (legge finanziaria 2002).
[12] VANZ, in L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 70, ed in La custodia dell’immobile locato: poteri e legittimazione del custode, in Giur. It. 2000, 1373 ss.. Inoltre, si ritiene in dottrina (SALETTI, Questioni attinenti alla custodia dell’immobile pignorato, in Giur. It. 1989, IV, 138 ss.) che la scelta di privilegiare nella espropriazione immobiliare, come regola, la scelta della custodia in capo allo stesso debitore esecutato sia contraria alla regola generale secondo la quale, nella esecuzione, la custodia va affidata ad un terzo, ed anche a quanto previsto nella disciplina affine della amministrazione giudiziaria ex artt. 591 ss. c.p.c., secondo la quale l’amministratore giudiziario deve essere un creditore o un istituto all’uopo autorizzato (solo nel caso in cui tutti i creditori acconsentano l’amministrazione giudiziaria può essere affidata al debitore esecutato).
[13] BONSIGNORI, Commentario al Codice Civile, artt. 2912-2918: gli effetti del pignoramento, Milano, 2000, 21.
[14] L’istanza di sostituzione può essere proposta anche dal creditore non munito di titolo esecutivo: cfr. Cass. Civ., n. 3179 del 4 novembre 1962, in Giust. Civ. 1963, I, 1349.
[15] Ma nel progetto di legge Parrelli si prevede che la sostituzione nella custodia possa essere disposta dal G.E. su istanza dei creditori “ovvero qualora sia reso necessario dalla amministrazione del bene”.
[16] Come riporta VANZ, in L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 79 ss., la dottrina (segnatamente FRANCHI, Custodia, in Commentario al codice di procedura civile diretto da Allorio, I, parte II, Torino, 1973, 731 ss.) ha identificato il presupposto della surroga del custode nel “pericolo di una custodia inadeguata”, laddove la giurisprudenza si è espressa nel diverso senso che la sostituzione debba essere disposta allorquando il debitore non abbia ottemperato agli obblighi posti a suo carico dalla legge (cfr. la giurisprudenza citata in SALETTI, Questioni attinenti alla custodia dell’immobile pignorato, in Giur. It. 1989, IV, 140).
[17] Cass. Civ., sez. III, n. 9968 del 28 agosto 1992, in Rep. Foro It. 1992, voce Sequestro conservativo [6150], n. 48; Cass. Civ., sez. III, n. 11201 del 14 ottobre 1992, in Rep. Foro It. 1992, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie [2720], n. 49. La inimpugnabilità è riferita anche ai presupposti del provvedimento, quale ad es. la competenza del giudice a pronunciarlo (Cass. Civ., n. 1606 del 19 marzo 1979, in Foro It. 1979, I, 933, con nota di PROTO PISANI; la decisione cita in conformità Cass. Civ., n. 3179 del 24 novembre 1962, in Foro It. 1963, I, 407, con nota di richiami). Si vedano inoltre Cass. Civ., n. 214 del 19 gennaio 1973, in Rep. Foro It. 1973, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie [279], n. 55, e Cass. n. 11201 del 14 ottobre 1992, in Mass. Giust. Civ. 1992, 1449. Del pari, è stato ritenuto inammissibile il ricorso per cassazione anche contro l’ordinanza del G.E. che fissa al debitore esecutato un termine per il rendimento del conto (Cass. Civ., n. 611 del 28 febbraio 1966, in Rep. Foro It. 1966, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 64).
[18] Cass. Civ., n. 6254 del 20 novembre 1982, in Foro It. 1983, I, 350; in Giur. It. 1983, I, 1, 727; in Dir. Fallim. 1983, II, 17; in Fallimento 1983, 599; in Banca, Borsa e Tit. Cred. 1983, II, 404. Fra la giurisprudenza di merito, nello stesso senso: Trib. Roma, ord. 19 luglio 1982, in Fallimento 1983, 600.
[19] Cass. Civ., sez. I, n. 5352 del 2 giugno 1994, in Fallimento 1994, 1273, con nota, contraria, di PANZANI, ed in Gius 1994, 119. Nello stesso senso si era anche espressa la giurisprudenza di merito, che aveva stabilito che la sostituzione del curatore nelle funzioni di custode degli immobili pignorati dagli istituti di credito fondiario rientra nella facoltà del giudice dell'esecuzione individuale, senza che ciò costituisca interferenza nei poteri del tribunale fallimentare (Trib. Roma, 30 maggio 1981, in Dir. Fallim. 1982, II, 488, ed in Temi romana 1981, 466; in entrambe con nota di DI GRAVIO; Trib. Roma, 7 febbraio 1990, in Foro It. 1990, II, 2295).
[20] SATTA, Commentario al codice di procedura civile, III, Milano, 1959, 476, MANDRIOLI, Opposizione all’esecuzione ed agli atti esecutivi, in Enciclopedia del diritto, XXX, Milano, 1980, 458. Si segnala però anche l'opinione di chi (ANDRIOLI, Commento al codice di procedura civile, III ed., III, Napoli, 1961, 226) si è espresso nel senso dell'ammissibilità dell'opposizione agli atti esecutivi. Vi è inoltre chi (VANZ, in L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 81 ss.) si ribella al principio della netta separazione fra le attività gestionali-amministrative del custode e gli atti propri del processo esecutivo, anche perchè - si sostiene - se si dovesse davvero ritenere che gli atti c.d. amministrativi (“formalmente interni al processo, in realtà a latere dello stesso, in quanto volti alla migliore conservazione ed amministrazione del bene staggito”) sfuggono a qualsiasi sindacato, non si comprende perchè il legislatore abbia previsto, nella procedura fallimentare, il reclamo al collegio contro i decreti del giudice delegato concernenti l’amministrazione e la conservazione del patrimonio.
[21] Cass. Civ., n. 6254 del 20 novembre 1982, in Giur. It. 1983, I, 727 (la quale tuttavia riconosce l’ammissibilità dell’opposizione nel caso in cui il provvedimento venga impugnato non per ragioni di merito, ma di rito); Cass. Civ., n. 1606 del 19 marzo 1979, in Foro It. 1979, I, 933, con commento di PROTO PISANI; Cass. Civ., n. 3179 del 24 novembre 1962, in Foro It. 1963, 407; Cass. Civ., n. 2727 del 17 luglio 1956, in Giust. Civ. 1957, I, 708.
[22] Cosicchè, come osservano CAPPONI - STORTO, Prime considerazioni sul d.d.l. Castelli recante Modifiche urgenti al codice di procedura civile, in relazione al processo di esecuzione forzata, in questa Rivista, 2002, 173, il rimedio dell'opposizione ex art. 617 c.p.c. "viene ad interessare questioni di stretto merito, definitivamente distaccandosi dalla sua originaria funzione di controllo della mera regolarità degli atti del processo esecutivo".
[23] Cass. Civ., n. 2172 del 19 giugno 1969, in Mass. Giust. Civ. 1969, 1117, ha escluso l’ammissibilità del sistema di liquidazione per vacazioni.
[24] Cass. Civ., sez. III, n. 1193 del 16 febbraio 1996, in Rass. Locaz.1996, 342. Vi è comunque da segnalare l’opinione contraria di BONSIGNORI, che in Commentario al Codice Civile, artt. 2912-2918: gli effetti del pignoramento, Milano, 2000, 33 ss., sostiene che il fenomeno di estensione automatica del pignoramento, c.d. “immobilizzazione”, non possa applicarsi ai frutti civili, e ritiene che nemmeno sia sufficiente notificare (anche) al terzo il pignoramento immobiliare ovvero una informativa informale, necessario essendo notificare un separato atto di pignoramento presso terzi.
[25] Dottrina e giurisprudenza hanno riconosciuto al custode legittimazione ad agire per la riscossione dei fitti (CONIGLIO, Il sequestro giudiziario e conservativo, Milano, 1949, 190), ad azioni di accertamento del canone equo, al risarcimento o alla prevenzione dei danni arrecati o arrecabili all’immobile pignorato, anche tramite azioni di nuova opera o di danno temuto (CASTOLDI, La legittimazione processuale del custode, in Riv. Dir. Proc. 1987, 489 ss.; MICHELI, Dell’esecuzione forzata, in Commentario del codice civile diretto da Scialoja e Branca, libro VI, Tutela dei diritti, Bologna-Roma, 1964, 35), ad azioni per il rilascio dell’occupante senza titolo (Cass. Civ., n. 2068 del 24 marzo 1986, in Riv. Dir. Proc. 1987, 487). Vice versa, la legittimazione del custode è stata esclusa per l’esercizio dell’azione di risoluzione del contratto di locazione (Cass. Civ., n. 4551 dell’11 ottobre 1978, in Rep. Giur. It. 1978, voce Sequestro conservativo, giudiziale e convenzionale, n. 20; Cass. Civ., n. 464 dell’11 febbraio 1969, in Mass. 1969, 186 ss.; Cass. Civ., n. 1768 del 5 luglio 1960, in Mass. 1960, 441; CASTOLDI, La legittimazione processuale del custode, in Riv. Dir. Proc. 1987, 498. Ma contra vedi VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 91), ed anche per l’esperibilità da parte del custode delle opposizioni alla esecuzione (CASTOLDI, La legittimazione processuale del custode, in Riv. Dir. Proc. 1987, 489 ss., e giurisprudenza ivi citata). Con riguardo a quest’ultimo caso, è da segnalare la posizione contraria, limitatamente alla opposizione ex art. 617 c.p.c., di VANZ, in L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 92, la quale propugna la sua esperibilità da parte del custode, anche richiamando in giurisprudenza Cass. Civ., n. 604 del 24 febbraio 1958, in Rep. Foro It. 1958, voce Esecuzione forzata per obbligazioni pecuniarie, n. 57.
[26] Cass. Civ., n. 3026 del 30 dicembre 1967, in Mass. Giur. It. 1967, 1140.
[27] VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 86-7; COSTA, voce Custodia dei beni pignorati e sequestrati (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, 568 ss..
[28] Il provvedimento con il quale il giudice dell'esecuzione, a norma degli art. 560, co. 1, e 593 c.p.c., ordina al custode di beni immobili pignorati di rendere il conto entro un termine appositamente fissato non è suscettibile di ricorso per cassazione ai sensi dell'art. 111, co. 2, Cost., trattandosi di provvedimento per il quale non ricorrono i requisiti della decisorietà e della definitività (Cass. Civ., sez. III, n. 5824 del 24 maggio 1993, in Rep. Foro It. 1993, voce Esecuzione per obbligazioni pecuniarie [2720], n. 64).
[29] L'amministrazione giudiziaria è tuttavia istituto negletto nella pratica, posto che è risultato che il 91,1% dei giudici dell'esecuzione italiani non la utilizza mai (cfr. SALETTI, La prassi di fronte alle norme e al sistema, in questa Rivista, 2001, 487 ss., il quale cita come fonte dei dati: La prassi dei tribunali italiani in materia di vendita immobiliare nell'ambito dell'esecuzione immobiliare, in Atti del Convegno su La vendita immobiliare nell'ambito delle procedure esecutive e concorsuali, I, Cologno Monzese, 1989, 211).
[30] Cfr. DE MAJO, Manuale di procedura civile, Roma, 1949, n. 282, 343; CALAMANDREI, Istituzioni di diritto processuale civile, II, Padova, 1944, n. 102, 169; JAEGER, Diritto processuale civile, Torino, 1943, n. 434, 636; SALETTI, Questioni attinenti alla custodia dell’immobile pignorato, in Giur. It. 1989, IV, 138 ss.; VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 78.
[31] In tal senso PROVINCIALI, L’amministrazione giudiziaria dell’immobile, in Studi in onore di Enrico Redenti nel XL anno del suo insegnamento, tomo II, Milano, 1951, 225, dove contrasta l’opinione del Satta che, nel suo L’esecuzione forzata (Milano, 1937), parlava di “esecuzione indiretta” a proposito dell’amministrazione giudiziaria, mentre nulla di indiretto o di mediato si realizzerebbe, nella esecuzione, con il realizzo dei frutti del bene pignorato, anch’essi sottoposti ad espropriazione tanto quanto il bene stesso.
[32] La locale sede del Sindacato Avvocati - Associazione Nazionale Forense ha anche presentato denuncia penale contro l’Ufficio del Registro, indicato quale reo di omissione d’atti d’ufficio. Per la cronaca, la Procura ha chiesto, ed ottenuto, l'archiviazione della querela sulla base della seguente motivazione: “I fatti, numerosissimi e documentati, di ritardo e spesso di grave ritardo, con conseguenze di danno per le parti, per le curatele, ecc., esposti in modo analitico, … appaiono incontestabili o difficilmente contestabili. Peraltro la ricerca delle responsabilità individuali … sarebbe opera immensa ed improduttiva … Non vi è prova, infatti, della deliberata e dolosa volontà di rifiutare un atto o ritardarlo, ma è di tutta evidenza che il disservizio incontestabile … deriva da una oggettiva situazione organizzativa, o meglio disorganizzativa”.
[33] La ricordata proposta di legge Parrelli propone di esplicitare questo sistema "premiale", là dove prevede che l’art. 569 c.p.c. venga riformulato nel senso che “la mancata comparizione del debitore esecutato alla prima udienza, come la sua mancata collaborazione, comporta il diniego dell’autorizzazione alla occupazione dell’immobile, con conseguente ordinanza, esecutiva e non impugnabile, di immediato rilascio”.
[34] Sulla automaticità dell'effetto di liberazione, sintetizza SALETTI, in La prassi di fronte alle norme e al sistema, in questa Rivista, 2001, 490: "l'immobile pignorato dovrebbe - salvo i casi di diritti preesistenti di terzi o di quanto autorizzato dal giudice dell'esecuzione - essere reso libero in conseguenza del pignoramento e in questa condizione posto in vendita". Contra, è stato sostenuto che il debitore potrebbe continuare ad abitare il compendio, senza alcuna autorizzazione, sino a quando non venga eventualmente autorizzata la locazione dello stesso a terzi o venga nominato un altro custode, in sostituzione del debitore esecutato (SATTA, Diritto processuale civile, XIII ed., a cura di Punzi, Padova, 2000, 677; ZANZUCCHI, Diritto processuale civile, a cura di Vocino, Milano, 1964, III, 206). Tuttavia, la medesima ratio della automaticità dell'effetto liberatorio è sottesa alla riformulazione, più formale che sostanziale, prevista dal citato d.d.l. del 21 dicembre 2001, che propone di sostituire l'attuale formulazione del terzo comma dell'art. 560 c.p.c. con la seguente: "il debitore può continuare ad abitare nell'immobile pignorato, occupando i locali strettamente necessari a lui ed alla sua famiglia, facendone istanza al giudice". Per le differenze fra la formulazione vigente e quella proposta dal citato disegno di miniriforma, si veda CAPPONI - STORTO, Prime considerazioni sul d.d.l. Castelli recante Modifiche urgenti al codice di procedura civile, in relazione al processo di esecuzione forzata, in questa Rivista, 2002, 180, i quali pongono l'attenzione sulla utilizzazione del termine "istanza" in luogo di quello vigente di "autorizzazione" facendone discendere la ufficializzazione, per così dire, del potere di attivare d'ufficio il provvedimento di rilascio del compendio, in deroga al principio dispositivo del processo esecutivo, in quanto - rispetto al fatto concreto della permanenza della abitazione nel compendio da parte del debitore esecutato - altro è la facoltà di richiedere la nomina di un custode diverso dal debitore esecutato, rimessa (questa sola) all'istanza in tal senso a formularsi da parte del ceto creditorio.
[35] Pubblicata in Giur. Completa della Corte Suprema di Cassazione 1949, II, 183.
[36] Così, letteralmente, la citata sentenza n. 744/1949 della Corte Suprema: “la forma del procedimento di rilascio non toglie che si verta sempre in tema di espropriazione forzata immobiliare, e quindi in un procedimento per sua natura esecutivo, del quale la presa in consegna dell’immobile da parte del nuovo custode non è che un mero episodio; ... l’ordinanza di surroga del custode, non impugnabile e confondibile con i provvedimenti giurisdizionali, appartiene alla categoria di provvedimenti esecutivi processuali ordinatori, alla cui rigorosa osservanza il custode non può sottrarsi senza venir meno ad uno dei suoi principali doveri”.
[37] Trib. Bologna, est. Liccardo, n. 813 del 16 marzo 2000, Cremonini c. Bergamini e altri.
[38] Essa si connetteva, da un lato, alla divisione della funzione giudiziale nel processo germanico, cioè all’atto solenne con cui il re, l’imperatore, il signore feudale assumevano la sentenza trovata dai giudici e proclamandola ne imponevano il riconoscimento. Si connetteva, d’altro lato, al praeceptum de solvendo, con cui il giudice apriva un tempo l’esecuzione, e che in Francia, data l’autonomia degli organi esecutivi di fronte ai giudici, s’incorporava nella sentenza stessa. Si connetteva inoltre alla limitazione territoriale delle giurisdizioni, e conseguentemente ai visa ed ai pareatis, che sotto l’ordinanza francese erano necessari perché una sentenza potesse eseguirsi fuori della giurisdizione del giudice che l’aveva emanata (CHIOVENDA, Diritto processuale civile, Napoli, 1923, 259).
[39] Basti pensare al ridicolo di un cancelliere che comanda, sia pure in nome della legge, e col nos maiestatis, ai giudici dell’esecuzione ed al pubblico ministero (VELLANI, Titolo esecutivo - Precetto, in Riv. Trim. Dir. Proc. Civ. 1982, 1345).
[40] CHIOVENDA, Diritto processuale civile, Napoli, 1923, 260; Cass. Civ. n. 39 del 7 gennaio 1970, in Foro It. 1970, I, 1158.
[41] Si vedano, fra le altre: Cass. Civ. n. 1954 del 22 luglio 1949, in Foro It. 1950, I, 557, e Cass. Civ. n. 3054 del 20 ottobre 1962, in Foro It. 1963, I, 979.
[42] Cass. Civ., Sez. II, n. 8238 del 29 agosto 1997, in Rep. Foro It. 1997, voce Comunione e condominio [1460], n. 72.
[43] Nel concetto di “terzo” va ricompreso anche l’usufruttuario del bene di cui sia stata pignorata la nuda proprietà: “nel caso di pendenza del procedimento di espropriazione forzata avente ad oggetto il diritto di nuda proprietà di un immobile, l'estinzione del relativo usufrutto comporta, con il riespandersi del diritto del nudo proprietario, che il diritto di questi resti assoggettato alla procedura espropriativa per la piena proprietà; ne consegue che, mentre la locazione stipulata originariamente dall'usufruttuario è opponibile, nei limiti in cui avrebbe dovuto essere rispettata dal nudo proprietario, all'aggiudicatario secondo le regole dettate dall'art. 2923 c.c., la stipulazione, con il medesimo conduttore, di una nuova locazione da parte del proprietario può avvenire solo previa autorizzazione del giudice dell'esecuzione secondo quanto disposto dall'art. 560, 2º comma, c.p.c., restando in mancanza inopponibile all'aggiudicatario” (Cass. Civ., n. 8166 del 22 luglio 1991, in Arch. Locaz. 1992, 51).
[44] Pret. Napoli, 20 gennaio 1988, in Arch. Locaz. 1988, 170.
[45] Non è necessaria autorizzazione per la riscossione dei canoni locatizi, siccome fatto certamente meno rilevante della stipula di un contratto di locazione e rientrante tra i compiti fondamentali del custode, che è tenuto a provvedere alla conservazione anche dei frutti del bene pignorato: il custode giudiziario è legittimato, anche senza autorizzazione ad hoc del giudice, per tutte le questioni concernenti l'ordinaria amministrazione e la conservazione dei beni, prevedendo la legge un'apposita autorizzazione solo per l'ipotesi di cui al 2º comma dell'art. 560 c.p.c. (Trib. Napoli, 24 giugno 1987, in Arch. Locaz. 1988, 136). In giurisprudenza si veda anche Cass. Civ., n. 2148 dell’8 luglio 1953, in Giust. Civ. 1953, 2389. In dottrina cfr. VANZ, La custodia dell’immobile locato: poteri e legittimazione del custode, in Giur. It. 2000, 1374; COSTA, voce Custodia dei beni pignorati e sequestrati (dir. proc. civ.), in Enc. Dir., XI, Milano, 1962, 568 ss.; CASTOLDI, La legittimazione processuale del custode, in Riv. Dir. Proc. 1987, 489 ss; CONIGLIO, Il sequestro giudiziario e conservativo, Milano, 1949, 191; VELLANI, voce Custode, in Noviss. Dig.. It., V, Torino, 1960, 89 ss..
[46] VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 86.
[47] Cass. Civ., n. 3105 del 23 luglio 1957, in Dir. Fall. 1957, II, 589 ss., con nota di BERRI.
[48] Cass. Civ., n. 4899 del 30 luglio 1980, in Foro It. 1980, I, 2731 ss..
[49] In senso favorevole: Cass. Civ., n. 4899 del 30 luglio 1980, in Foro It. 1980, I, 2731; Cass. Civ., n. 2576 del 5 dicembre 1970, in Foro It. 1971, I, 81 in Giust. Civ. 1970, I, 1717, ed in Dir. Fall. 1971, II, 194; Cass. Civ., n. 1905 del 4 giugno 1956, in Giust. Civ. 1956, 322; VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 86-7; in senso contrario: MICHELI, Dell’esecuzione forzata, in Commentario del codice civile diretto da Scialoja e Branca, libro VI, Tutela dei diritti, Bologna-Roma, 1964, 71; Trib. Sassari, 19 aprile 1954, in Giust. Civ. 1957, 322.
[50] Ma l'art. 41, co. 3, del d.lgs. 385/1993, in materia di credito fondiario, stabilisce il diritto della banca, il cui credito ha natura fondiaria, a ricevere dal custode ovvero dall'amministratore giudiziario le rendite degli immobili ipotecati, al netto delle spese di amministrazione e dei tributi. Come notato da CAMPEIS - DE PAULI, in Le esecuzioni speciali, Giuffrè 1999, 56, si tratta di una deroga alle norme codicistiche, secondo le quali "il custode e l'amministratore giudiziario non consegnano al creditore, bensì amministrano, le rendite sotto la vigilanza del giudice dell'esecuzione e provvedono al deposito delle stesse in cancelleria, insieme ai rendiconti periodici di gestione".
[51] Oltre ai canoni correnti e maturandi, sono dovuti al custode anche i canoni già maturati prima della nomina (e della comunicazione del custode al conduttore) ma non ancora versati, ovvero dei quali non viene fornita la prova documentale dell’effettivo versamento. Al riguardo si segnala Trib. Bologna, sez. dist. Imola, est. Costanzo, n. 64 del 21 agosto 2000, con la quale è stata respinta l’eccezione che la legittimazione del custode ad agire per la riscossione dei canoni locatizi sarebbe limitata a quella sola fase del rapporto contrattuale svoltasi dopo la nomina del custode da parte del G.E.. Nel caso specifico, poi, il conduttore (una società) contestava l’esistenza della morosità opponendo l’annotazione dei pagamenti nelle scritture contabili; ma poichè l’effettività dei pagamenti era stata contestata dal custode giudiziario, è stata pronunciata la inopponibilità allo stesso, ai sensi degli artt. 2709 ss. c.c., delle scritture contabili.
[52] Ma è contestato da TARZIA, che ritiene invece che la disdetta debba essere autorizzata dal giudice ne Il bene immobile nel processo esecutivo, in Riv. Dir. Proc. 1989, 355 ed in Tipo di locazione e onere della prova, mutamento di destinazione, forma scritta e trascrizione, in Le locazioni per uso non abitativo, Atti del convegno 5 luglio 1979, Padova, 1979, 131. VANZ, ne L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 116, si allinea a tale posizione, citando anche in senso contrario Pret. Verona, 7 maggio 1987, in Giur. merito 1988, I, 15 ss. (con nota adesiva di DE MARINIS), che nega il potere in capo al curatore (posizione cui quella del custode è equiparabile) di intimare la disdetta: il che rafforza l’orientamento che riconosce l’automaticità della disdetta dal contratto di locazione dell’immobile pignorato.
[53] Pret. Milano, 21 settembre 1989, in Foro It. 1990, I, 3530.
[54] Trib. Napoli, 30 gennaio 1997, in Arch. Locaz. 1997, 454, ed in Giust. Civ. 1997, I, 1940. La Cassazione ha poi confermato la decisione di merito del Tribunale di Napoli (che aveva deciso in grado d’appello su una sentenza del Pretore), ed elevato il principio enunciato a norma interpretativa generale (Cass. Civ., Sez. III, n. 1639 del 25 febbraio 1999, in Gius 1999, 1147, ed in Giur. It. 1999, 2019). Nello stesso senso è anche la giurisprudenza del Tribunale di Bologna: il principio è stato ribadito da ord. 13 ottobre 1999, est. Guidotti, Latini c. Good Looking, e da ord. Pret. Budrio, est. Candidi Tommasi, 17 febbraio 1997, Fusari c. Dello Margio e Giusti, quest’ultima confermata nel merito con la sentenza n. 5/1998 del Tribunale di Bologna.
[55] Cfr. alla nota precedente e Cass. Civ., Sez. III, n. 8800 del 4 settembre 1998, in Foro It. 1998, I, 3159. Tutta la citata giurisprudenza si riferisce a contratti di locazione soggetti alla disciplina ante l. 431 del 9 dicembre 1998, che ha introdotto - a far data dal 1° gennaio 1999 - la nuova e vigente disciplina delle locazioni. Ciò comporta che, nel caso di locazione “a canone vincolato” (a’ sensi dell’art. 2, co. 5, di detta legge), dopo il primo triennio vi sia non già una rinnovazione quanto una proroga ex lege di ulteriori due anni, che può essere evitata o rimossa solamente in presenza di particolari condizioni (quelle dettate dall’art. 3 della l. 431/1998), il che rende - in tal caso - non richiamabile la giursprudenza che impone l’autorizzazione del G.E. per il rinnovo del contratto, pur ben potendo l’ufficio esecutivo impedire la proroga biennale invocando la facoltà di diniego (prevista dall’art. 3, lett. G, della l. 431/1998) in favore del locatore che intende vendere l’immobile a terzi: in tal senso vedi TEDOLDI, L’opponibilità delle locazioni ad uso abitativo all’acquirente di immobile sottoposto a vendita forzata, ai sensi dell’art. 2923 c.c. e alla luce della legge n. 431 del 9 dicembre 1998, in questa Rivista, 2000, 486, e la relativa postilla di VACCARELLA, ibidem, 488, il quale in particolare qualifica la facoltà di diniego della proroga come un potere-dovere dell’ufficio esecutivo.
[56] App. Brescia, 2 febbraio 1990, in Giur. merito 1990, 705; Cass. Civ., sez. III, n. 8076 del 4 ottobre 1994, in Arch. Civ. 1995, 503 ed in Dir. e Giur. Agr. e Amb. 1995, 635; Cass. Civ., sez. III, n. 10599 del 12. dicembre 1994, in Rep. Foro It. 1994, voce Contratti agrari [1710], n. 249; Cass. Civ., sez. III, n. 10651 del 29 ottobre 1997, in Dir. e Giur. Agr. e Amb. 1998, 416, con nota di GRASSO.
[57] Cass. Civ., Sez. Unite, n. 459 del 20 gennaio 1994, in Foro It. 1994, I, 2818; in Giust. Civ. 1994, I, 915; in Arch. Locaz. 1994, 289; in Corr. Giur. 1994, 735, con nota di CUFFARO; in Gius 1994, 99, con nota di CARBONE; in Dir. Fall. 1994, II, 1098; in Fallimento 1994, 690.
[58] Cass. Civ., n. 913 del 1° febbraio 1998, in Giust. Civ. 1988, I, 2666; Cass. Civ., n. 3298 del 30 maggio 1984, in Foro It. 1984, I, 2993; Cass. Civ., n. 295 del 13 gennaio 1981, in Foro It. 1981, I, 689; Trib. Roma, 23 novembre 1982, in Temi romana 1983, 81; Trib. Chiavari, ord. 6 giugno 1980, in Fallimento 1980, 313; Trib. Sanremo, 3 aprile 1980, in Giust. Civ. 1981, I, 1786; Trib. Torino, ord. 30 giugno 1979, in Giur. merito 1981, 62. Contra: Trib. Vigevano, 13 luglio 1981, in Foro It. 1982, I, 1412.
[59] VANZ, nel fecondo studio: L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997.
[60] Sulla possibilità di ricomprendere nella categoria degli “atti di alienazione” ex art. 2913 c.c. anche le locazioni, così come sulle differenti tesi che propugnano, in alternativa all’inefficacia di tali atti, la loro invalidità ovvero nullità, si veda VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 37 ss..
[61] L'art. 2923 c.c., quale disposizione speciale che deroga al generale principio emptio non tollit locatum di cui all’art. 1599 c.c., si applica a tutti i rapporti di locazione anche se regolati da sopravvenute leggi di proroga, ivi compresa la l. 392 del 1978 (Pret. Parma, 5 gennaio 1991, in Arch. Locaz. 1991, 349), in quanto detta legge non trova applicazione con riguardo alle locazioni degli immobili espropriati.
[62] In questo senso propone di modicare il testo dell’art. 569 c.p.c. la ricordata proposta di legge Parrelli.
[63] Fra gli altri, si veda CASTELLAZZI, Aste giudiziarie immobiliari, attenzione alle false locazioni, in Arch. Locaz. 2001, 639 ss..
[64] Secondo alcuni (TRIFONE, La locazione, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, XI, Torino, 1984, 529) nemmeno potrebbe porsi la questione, dal momento che la legge sull’equo canone rappresenterebbe, nel regime dei rapporti regolati da tale legge, un microsistema normativo abrogativo dell’art. 2923 c.c.. Per gli argomenti che articolatamente confutano questa tesi si rimanda a VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 21 ss..
[65] TEDOLDI, L’opponibilità delle locazioni ad uso abitativo all’acquirente di immobile sottoposto a vendita forzata, ai sensi dell’art. 2923 c.c. e alla luce della legge n. 431 del 9 dicembre 1998, in questa Rivista, 2000, 487.
[66] Ci conforta in tale interpretazione l’opinione espressa da VACCARELLA, in Postilla (a proposito dei rapporti tra l’art. 2923 c.c. e legge n. 431 del 1998), in questa Rivista, 2000, 489-90.
[67] Cfr. Pret. Napoli, 11 marzo 1995, in Arch. Locaz. 1995, 676, ed in Rass. Locaz. 1995, 452. Per durata del contratto si deve comunque intendere il solo termine di efficacia posto dall'art. 1574 c.c., ovvero quello introdotto dall'art. 1 della l. 392 del 1978, e non la complessiva disciplina delle locazioni a tempo indeterminato, onde ogni ulteriore sviluppo del rapporto, in quanto estraneo alla salvezza contenuta nella norma citata, sarebbe ex se inopponibile, anche perchè ogni vicenda eventualmente riconducibile al comportamento concludente del locatore e comportante rinnovazione del rapporto ai sensi dell'art. 3 della l. 392 del 1978 sarebbe comunque inopponibile, in quanto successiva al pignoramento, per effetto del divieto posto dall'art. 560 c.p.c. (Trib. Napoli, 30 gennaio 1997, in Arch. Locaz. 1997, 454; cfr. anche Cass. Civ., n. 6104 del 17 novembre 1981, in Rep. Foro It. 1981, voce Locazione [3990], n. 182.
[68] Cass. Civ., n. 3978 del 3 luglio 1982, in Giur. It. 1983, I, 1, 960.
[69] TEDOLDI, L’opponibilità delle locazioni ad uso abitativo all’acquirente di immobile sottoposto a vendita forzata, ai sensi dell’art. 2923 c.c. e alla luce della legge n. 431 del 9 dicembre 1998, in questa Rivista, 2000, 481-2.
[70] In conformità si veda Trib. Napoli, 30 gennaio 1997, in Arch. Locaz. 1997, 454, ed in Giust. Civ. 1997, I, 1940; App. Napoli, 14 luglio 1997, in Arch. Locaz. 1997, 831; Trib. Monza, ord. 23 febbraio 2000, in questa Rivista, 2000, 478, con nota di TEDOLDI e postilla di VACCARELLA. L’ordinanza del Tribunale di Monza ha sancito, quanto al dies a quo del contratto di locazione, che esso retrodatava “alla presumibile data di inizio della locazione o al più tardi dal pignoramento”. In dottrina, si veda anche BONSIGNORI, Commentario del codice civile, artt. 2919-2923: effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, Milano, 1988, 148, e CASTELLAZZI, Opponibilità della locazione di immobile ad uso abitativo all’aggiudicatario di bene venduto ad asta giudiziaria alla luce della legge n. 431/98, in Arch. Locaz. 2001, 211 ss.. La riferibilità alla legge sull’equo canone è stata invece messa in dubbio da VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 181 ss..
[71] TEDOLDI, L’opponibilità delle locazioni ad uso abitativo all’acquirente di immobile sottoposto a vendita forzata, ai sensi dell’art. 2923 c.c. e alla luce della legge n. 431 del 9 dicembre 1998, in questa Rivista, 2000, 484 ss.. In ogni caso, le locazioni sarebbero certamente opponibili per una durata non superiore a quattro ovvero tre anni (a seconda del tipo di contratto stipulato), essendo espressamente esclusa dall’art. 3, lett. G, della legge 431/1998, l’applicazione del rinnovo di quattro ovvero due anni, dal momento che la vendita forzata dell’immobile costituisce evento legittimante la disdetta alla prima scadenza: vedi CASTELLAZZI, Opponibilità della locazione di immobile ad uso abitativo all’aggiudicatario di bene venduto ad asta giudiziaria alla luce della legge n. 431/98, in Arch. Locaz. 2001, 211 ss..
[72] VACCARELLA, Postilla (a proposito dei rapporti tra l’art. 2923 c.c. e legge n. 431 del 1998), in questa Rivista, 2000, 489; CASTELLAZZI, Opponibilità della locazione di immobile ad uso abitativo all’aggiudicatario di bene venduto ad asta giudiziaria alla luce della legge n. 431/98, in Arch. Locaz. 2001, 211 ss..
[73] VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 186 ss..
[74] Cass. Civ., Sez. I, n. 4529 del 6 maggio 1999, in Foro It. 1999, I, 2215, in Giust. Civ. 1999, I, 2305, in Arch. Civ. 1999, 975, ed in Guida al Diritto 1999, fasc. 25, 47, con nota di FIORINI.
[75] In esatti termini: Trib. Bologna, est. Sardo, n. 1791 del 20 giugno 2001, Poggiali c. Mignatti.
[76] Trib. Vicenza, 23 novembre 1995 in Giur. merito 1998, 459.
[77] App. Napoli, 14 luglio 1997, in Arch. Locaz. 1997, 831.
[78] TRIFONE, La locazione, in Trattato di diritto privato diretto da P. Rescigno, XI, Torino, 1984, 529; CHIOZZI, Il contratto di locazione e la disciplina dell’art. 2923 c.c., in Atti del convegno su “La vendita immobiliare nell’ambito delle procedure esecutive e concorsuali”, Roma, 1988; BONSIGNORI, Commentario del codice civile, artt. 2919-2923: effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, Milano, 1988, 156; MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, in Tratt. Rescigno, XX, Torino, 1988, 240-1;
[79] Cass. Civ., Sez. Unite, n. 459 del 20 gennaio 1994, in Foro It. 1994, I, 2818; in Giust. Civ. 1994, I, 915; in Arch. Locaz. 1994, 289; in Corr. Giur. 1994, 735, con nota di CUFFARO; in Gius 1994, 99, con nota di CARBONE; in Dir. Fall. 1994, II, 1098; in Fallimento 1994, 690.
[80] VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 190.
[81] Cass. Civ., n. 2462 del 20 aprile 1982, in Giust. Civ. 1982, I, 2752; sembra invece riportarsi alla data di stipulazione del contratto Cass. Civ., n. 2413 del 14 aprile 1984, in Arch. Locaz. 1984, 424. Propende per il riferimento al momento della vendita BONSIGNORI, in Commentario del codice civile, artt. 2919-2923: effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, Milano, 1988, 153.
[82] In dottrina, cfr. BONSIGNORI, Commentario del codice civile, artt. 2919-2923: effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, Milano, 1988, 152; NANNI, Inopponibilità all’aggiudicatario per viltà del canone, in Riv. Trim. Proc. Civ. 1991, 351 ss.; MAZZAMUTO, L’esecuzione forzata, in Tratt. Rescigno, XX, Torino, 1988, 285; CHIOZZI, Il contratto di locazione e la disciplina dell’art. 2923 c.c., in Atti del convegno su “La vendita immobiliare nell’ambito delle procedure esecutive e concorsuali”, Roma, 1988, 67 ss.; VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 31 e 177 ss.; in giurisprudenza: Cass. Civ., n. 1615 del 4 aprile 1989, in Arch. Locaz. 1989, 469, in Giust. Civ. 1989, I, 2105 ed in Rass. equo canone 1989, 251.
[83] TEDOLDI, L’opponibilità delle locazioni ad uso abitativo all’acquirente di immobile sottoposto a vendita forzata, ai sensi dell’art. 2923 c.c. e alla luce della legge n. 431 del 9 dicembre 1998, in questa Rivista, 2000, 484. Ma VANZ, ne L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 180, ritiene che, al di fuori delle ipotesi di applicazione della legge sull’equo canone, “il parametro del giusto prezzo dovrà rispecchiarsi non più nel prezzo di calmiere, ma in quello normalmente ritraibile dal mercato”.
[84] Cass. Civ., n. 1337 del 4 giugno 1962, in Foro It. 1962, I, 1962 ed in Giust. Civ. 1963, I, 123; Cass. Civ., n. 2462 del 20 aprile 1982, in Giust. Civ. 1982, I, 2752; Cass. Civ., n. 2413 del 14 aprile 1984, in Arch. Locaz. 1984, 424; Cass. Civ., n. 1615 del 4 aprile 1989, in Arch. Locaz. 1989, 469, in Giust. Civ. 1989, I, 2105 ed in Rass. equo canone 1989, 251, commentata da NANNI, Inopponibilità all’aggiudicatario per viltà del canone, in Riv. Trim. Proc. Civ. 1991, 351 ss..
[85] BONSIGNORI, Commentario del codice civile, artt. 2919-2923: effetti della vendita forzata e dell’assegnazione, Milano, 1988, 152; TABET, La locazione-conduzione, in Trattato di diritto civile e commerciale diretto da Cicu e Messineo, XXV, Milano, 1972, 704; VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 177.
[86] TEDOLDI, L’opponibilità delle locazioni ad uso abitativo all’acquirente di immobile sottoposto a vendita forzata, ai sensi dell’art. 2923 c.c. e alla luce della legge n. 431 del 9 dicembre 1998, in questa Rivista, 2000, 481.
[87] Sulla natura revocatoria di tale azione e sulla sostenuta inestensibilità di tale tutela in favore del ceto creditorio, riservandola al solo aggiudicatario, si veda VANZ, L’espropriazione dell’immobile locato, Milano, 1997, 56 ss., che pure cita anche autorevole dottrina contraria (Cicu, Gaudenzi e Satta), sebbene con riferimento all’antesignano dell’art. 2923, co. 3, c.p.c., l’art. 687 del codice di rito abrogato.
[88] Cass. Civ., sez. III, n. 721 del 27 gennaio 1999, in Giust. Civ. 1999, I, 1365.
[89] Così come ricordata anche da VACCARELLA, nella sua Postilla (a proposito dei rapporti tra l’art. 2923 c.c. e legge n. 431 del 1998), in questa Rivista, 2000, 490, e da LICCARDO, in La ragionevole durata del processo esecutivo: l'esperienza del Tribunale di Bologna negli anni 1996-2001 ed ipotesi di intervento, ivi 2001, 566 ss..
[90] App. Firenze, 11 maggio 1954, in Giur. It. 1954, 617.
[91] ord. Trib. Bologna, est. Palumbi, 10 luglio 1997, Casini c. Danielli.
[92] ord. Trib. Bologna, est. Palumbi, 10. febbraio 1999, Michelini c. Chiarini. La decisione, nella fattispecie, ha accolto la domanda cautelare rilevando l’inopponibilità alla custodia dell’assegnazione della casa coniugale, disposta in favore della esecutata con le sentenze di separazione e di divorzio, non trascritte nei registri immobiliari, ed essendo comunque il pignoramento stato trascritto in epoca antecedente ad entrambe.
[93] ord. Trib. Bologna, pres. Guarino, est. Arceri, 13 aprile 1999, Chiarini c. Michelini.
[94] ord. Trib. Bologna, pres. Berlettano, est. Florini, 4 agosto 1998, Simoni c. Girotti.
[95] ord. Pret. Budrio, est. Candidi Tommasi, 17 febbraio 1997, Fusari c. Dello Margio e Giusti; decisione confermata nel merito con la sent. n. 5/1998 dello stesso Pretore; ord. Pret. Bologna, est. Candidi Tommasi, 9 giugno 1998, Simoni c. Girotti. La motivazione, ripetuta nella sua letteralità in tutti e tre i provvedimenti, richiama espressamente la sentenza della Cassazione Civile n. 366 del 17 gennaio 1996, in materia fallimentare, resa in caso di revocabilità di contratto di locazione e pubblicata in Foro It. 1996, I, 3175.
[96] ord. Pret. Bologna, est. Verardi, 1 dicembre 1998, Costa c. Cavedoni.
[97] ord. Pret. Bologna, est. Scaramuzzino, 22 gennaio 1999, Selleri c. Reina.
[98] ord. Pret. Bologna, est. Ciccone, 15 marzo 1999, Michelini c. Naldi e Chersoni.
[99] ord. Pret. Bologna, est. Ciccone, 24 novembre 1998, Selleri c. Colombo.
[100] ord. Trib. Bologna, pres. est. Drudi, 12 agosto 1997, Fall. Parisi s.a.s. c. Parisi, che ha riformato integralmente, in composizione collegiale in sede di reclamo, un’ordinanza che aveva respinto la concessione della richiesta cautela; l’ordinanza collegiale ha poi trovato conferma nel merito con la sent. n. 1277/98 del Pretore di Bologna, che ha fra l’altro accolto la domanda di condanna dell’occupante sine titulo al risarcimento del danno da protratta occupazione.
[101]ord. Pret. Bologna, est. Candidi Tommasi, 9. giugno 1998, Simoni c. Girotti; ord. Pret. Budrio, est. Candidi Tommasi, 17 febbraio 1997, Fusari c. Dello Margio e Giusti; vedi anche la sentenza di merito di quest’ultima, n. 8/1998 dello stesso Pretore; in tutte le decisioni il giudicante ha espressamente richiamato Cass. Civ., Sez. III, n. 1193 del 16 febbraio 1996, in Rass. Locaz. 1996, 342.
[102] Cass. Civ., Sez. III, n. 12556 del 12 novembre 1999, in Giur. It. 2000, 1373, con nota di VANZ, ed in questa Rivista, 2000, 163, con commento di LEPRI.
[103] Cass. Civ., Sez. I, n. 138 del 22 gennaio 1970, in Giust. Civ. 1970, 1045 ss., con nota di LAZZARO.
[104] Quella del Tribunale di Monza, così come pubblicata nel materiale di consultazione offerto al convegno Le vendite forzate immobiliari e la ragionevole durata del processo esecutivo, Monza 8 giugno 2001; si veda anche MIELE - RODA - FONTANA, La prassi delle vendite immobiliari nel Tribunale di Monza, in questa Rivista 2001, 524, dove peraltro non si esclude la necessità di un'azione giudiziale di rilascio ad istanza del custode, nelle forme ordinarie, tuttavia segnalando la ritenuta opportunità di assegnazione tabellare di tali controversie giudiziali alla stessa sezione del Tribunale che si occupa delle esecuzioni immobiliari, per "motivi di opportunità e speditezza".
[105] La citata prassi del Tribunale di Monza fa leva proprio sulla interpretazione estensiva ed analogica di quanto è stato sancito, in Cass. Civ., sez. I, n. 12174 del 1° dicembre 1998 (in Fallimento 1999, 1004) resa in materia di decreto di trasferimento emesso in una procedura fallimentare, la quale ha stabilito che il decreto di trasferimento costituisce titolo esecutivo sia contro il proprietario esecutato “sia nei confronti di chi si trovi nel possesso o nella detenzione dell’immobile stesso qualora il possesso o la detenzione non siano correlati ad una situazione di diritto soggettivo (reale o personale) già opponibile al creditore pignorante (o al fallimento) e quindi opponibile anche all’aggiudicatario”. Il provvedimento-tipo emesso dal Tribunale di Monza, nei confronti dei terzi occupanti, recita testualmente nella parte motiva: “rilevato che il G.E., una volta nominato il custode giudiziario dell’immobile pignorato, può, al fine di assicurare una migliore conservazione dello stesso e comunque una più efficace tutela nell’interesse dei creditori ad un rapido ed efficace svolgimento della procedura, disporre la liberazione immediata dell’immobile dal debitore esecutato, come si evince dalla previsione dell’art. 559, co. 2, c.p.c., in forza della quale il debitore può continuare ad abitare l’immobile solo in quanto espressamente autorizzato dal giudice; rilevato che a maggior ragione il G.E. può disporre la liberazione dell’immobile quando questo risulta occupato da terzi che non siano titolari di diritti personali o reali di godimento fondati su titolo opponibile alla procedura in quanto trascritto nei RR. II. prima della trascrizione del pignoramento, tenuto conto che nei confronti del creditore pignorante e dei creditori intervenuti le posizioni del debitore esecutato e del terzo occupante senza titolo opponibile sono esattamente identiche, come dimostra la circostanza che il decreto di trasferimento ex art. 586 c.p.c. è, pacificamente, titolo esecutivo riguardo ad entrambi i soggetti...”. Si tratta, a me pare, di una “fuga in avanti” certamente apprezzabile sul piano della tutela sostanziale, ma un po’ ardita sul piano interpretativo, nell’attuale impianto normativo, almeno sino a quando non dovesse divenire effettivamente legge la ricordata proposta di legge Parrelli, che in parte qua propone la riscrittura dell’art. 569 c.p.c. con la dichiarata attribuzione al G.E. di ordinare (anche) al terzo l’immediato rilascio dell’immobile.
[106] Trib. Bologna, est. Guidotti, ord. 3 ottobre 1997, Meriggiani c. Pini.